🦖🦖🦖 #tiromancino – Maremma: Il Sole 24 Ore affonda una nave già colata a picco



La classifica del Sole 24 Ore sulla qualità della vita nelle 103 provincie italiane ha ucciso un uomo morto. Maremma e Amiata, infatti, sono economicamente colate a picco già da tempo.

Negli ultimi anni lo hanno testimoniato a ripetizione gli indicatori economici e sociali 

elaborati fra gli altri da Camera di commercio, Irpet, Ires Cgil e Bankitalia.


C'è senza dubbio una qualche relazione fra le peggiori performance del territorio e chi lo ha governato negli anni, ma il rapporto di causa effetto non è così diretto come parrebbe a prim’acchito. La verità, amara, è che ciascuno ci ha messo del proprio, e che i pessimi risultati fotografati dall'ultima graduatoria elaborata dal quotidiano color salmone di Confindustria, sono figli di un trend iniziato oramai molti anni fa. A partire da quello relativo al declino demografico, che accomuna un po’ tutta Italia ma che vede la provincia di Grosseto fra i peggiori territori del Belpaese, e senza dubbio il peggiore della Toscana. Un’emergenza tanto evidente quanto presa sottogamba.



Come noto, la colpa non è figlia di nessuno. Tuttavia, se dalle nostre parti la situazione è così compromessa qualche responsabilità andrà pure attribuita. Fermo restando che chi governa e ha governato ha per antonomasia molto da farsi perdonare, sarebbe velleitario distribuire i demeriti fra le singole forze politiche, o fra le coalizioni. Dal momento che, stringi stringi, gli errori di approccio ai temi dello sviluppo economico (e non solo) sono stati nel tempo condivisi un po’ da tutti. Compresi gli autoproclamati innovatori che, al massimo, hanno esacerbato in negativo vizi e difetti già ampiamente radicati.


Già. Perché ancor prima di individuare le scelte che hanno portato all'attuale situazione, o quelle che sarebbe utile fare per uscirne, bisogna sforzarsi di capire qual è la logica di sistema che ci ha portati nel vicolo cieco in cui siamo.


In questo senso, va preso atto che i gruppi dirigenti diffusi - politica, impresa o intellighenzia – sono lo specchio fedele della cosiddetta “gente comune” che abita in questo territorio. Sarebbe consolatorio il contrario, ovverosia che chi ci ha governato e ci governa è peggio di chi viene rappresentato; l’ennesimo alibi. Ma la verità oggettiva è che, fatte le dovute non rarissime eccezioni, la strutturale debolezza che la provincia di Grosseto esprime, è figlia di radicati connotati culturali trasversalmente condivisi.


Un conservatorismo ottuso che ha sempre contaminato il discorso pubblico, assecondando l'idea antistorica che chiudersi nel proprio recinto avrebbe preservato i caratteri positivi rappresentati da rudezza, schiettezza e lealtà che caratterizzavano un immaginifico “homo maremmanus”: l’elegia del “tiburzismo” o gli esperti di storia locale perculati con feroce ironia da Bianciardi. L’idea malsana che rimanere sostanzialmente estranei ai processi d’innovazione tecnologica e culturale avrebbe contribuito alla qualità ambientale e della vita delle nostre comunità. La retorica goffa dell'autosufficienza.


Stereotipo ben rappresentato dalla battaglia, in primo luogo culturale, contro l'autostrada, che avrebbe portato turismo di massa, inquinamento (invece l'aurelia a quattro corsie?) e in definitiva la corruzione dei costumi in questa specie di valle dell'Eden. Ma anche dall’avversione latente (e patente) contro antenne di telefonia mobile, pannelli fotovoltaici o pale eoliche. La diffidenza culturale diffusa nei confronti della concorrenza di mercato, alimentata dall'abitudine inveterata alle rendite di posizione: dei latifondisti arricchitisi con l’espansione urbana intorno alle città, dei rentier di patrimoni edilizi dislocati lungo la costa, fino ai titolari di concessioni demaniali balneari. E in generale di quelle sui beni pubblici. Ad esempio, quelle per lo sfruttamento delle fonti termali o delle risorse minerarie, comprese le geotermiche. Il consolidato approccio oppositivo all'introduzione di qualunque innovazione, da quelle colturali in agricoltura a quelle di natura industriale. In omaggio al quale sono sorti decine di comitati sedicenti ambientali che hanno combattuto feroci battaglie di retroguardia in ogni angolo della provincia. Fino a contrastare le antenne telefoniche perché potenzialmente minacciose per i pipistrelli.


Un esempio fra i tanti, di cui sono stato testimone. Rispetto al progetto di parco eolico proposto a San Donato (Orbetello), ascoltando un politico (lo schieramento sarebbe intercambiabile) dire letteralmente: «le pale eoliche mai! Ché nessuno comprerebbe più casa in campagna». Ovverosia: poderi a vocazione produttiva in zona agricola, all’interno di un’area golenale, immaginati come seconde case rurali a pochi chilometri dalla vicina fascia costiera. In poche parole, l’epitome della cultura della rendita. Fuori dai radar qualunque consapevolezza della crisi climatica. Della necessità di investire in alternative alle fonti fossili.


Poi ci sono i singoli episodi, legati a mancate scelte strategiche figlie di questo brodo di coltura, che hanno progressivamente sottratto opportunità di sviluppo al territorio. Con processi “indecisionali” dai tempi biblici, incompatibili con quelli dell’economia. Refrattari alla valutazione delle conseguenze. Prigionieri dei veti incrociati.


La vicenda del Corridoio tirrenico ne è l’archetipo massimo. Se ne parla dal 1969, ma il colpo di grazia, dilazionato negli anni, è arrivato dal 2000 al 2019. Anno in cui fu pronunciata la definitiva sentenza a morte dell’autostrada: «non ci sono soldi». Nel frattempo evaporati. Con la competitività di tante imprese.


Lunghi anni per fare qualunque cosa: un impianto ittico a mare. Una centrale geotermica. Un parco fotovoltaico. L’adeguamento di 70 km di Grosseto-Siena. Un’area di stoccaggio per i gessi rossi di Venator. Il mattatoio comprensoriale. L’implementazione del piano provinciale dei rifiuti. Il nuovo ente di gestione della laguna di Orbetello, che fa capolino dopo innumerevoli anossie lagunari e ipertrofie algali. I grandi bacini collinari di accumulo idrico – Farma-Merse, Lanzo e Gretano - per contrastare l'ingresso del cuneo salino e lenire la grande sete della piana. Avversati più a lungo di quanto lo fu l’invaso di Bilancino in Mugello. Che oggi salva tutta l'area fiorentina dalle crisi idriche.


Tutto sovrastato dall’immanenza di uno status quo immarcescibile. Esaltato dall’immobilismo come strategia ispiratrice della guerra di trincea al cambiamento. Al dinamismo socioeconomico come motore di emancipazione. Il decennio come unità di misura minima per scandire un tempo bradipomorfo. Una dimensione spaziotemporale malsana - va detto - quella della palude, dell’immobilismo, perché fa rima con conservatorismo. Reazionarismo. Mantenimento dell’ordine costituito. Economico e sociale. Che perpetra la trasmissione delle rendite appannaggio dei soliti noti. Un decennio dopo l’altro.


Forse saranno chiacchiere in libertà. Forse retorica del declino. Ma l’impressione netta è che fintanto non cambierà l'approccio culturale di come chi vive in Maremma e sull’Amiata s’immagina questo territorio, non ci potrà essere alcuna forma di redenzione. Così com’è oggi, la provincia di Grosseto si attaglia perfettamente all'abusata (come in questo caso) massima del Gattopardo, principe di Salina: «perché tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi». Ecco, sostanzialmente, nelle nostre lande questo è il problema.

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