💁💁💁 #tiromancino/ La verità vi prego, sul perché Piombino dovrebbe transitare in provincia di Grosseto




Piombino val bene una messa? Via, non scherziamo! Lassia stare!

A Enrico di Navarra convenne convertirsi al cattolicesimo - da ugonotto (calvinista) che era - per pacificare la Francia dopo quarant’anni di guerre di religione tra cattolici e protestanti, e nelle vesti reali di Enrico IV entrare trionfante a Parigi nel 1594. Ma Piombino in Provincia di Grosseto a che pro? Sia per i grossetani che per i piombinesi quale sarebbe il supposto reale vantaggio? Quella d’un matrimonio d’interesse tra due territori economicamente fiacchi pare sinceramente un’iperbole ingiustificata……

Prendere sul serio una boutade (in Maremma si direbbe in altra guisa) tanto strampalata sarebbe tempo devastato. Motivo per cui, per l’igiene del dibattito pubblico, c'è da augurarsi la speculazione “duri quanto un gatto sull’Aurelia”. A proposito di livornesismi.

E tuttavia la ponderosa discussione prosegue oltre il lecito, alimentata da alcuni media locali. Non si capisce bene se per cavalcare la notizia di costume sui generis, oppure per motivi più reconditi.


Perché perderci tempo a scriverne, dunque? Semplice: perché non è come sembra. Per quanto la transizione dalla provincia di Livorno a quella di Grosseto sia giustificata con argomentazioni surreali. Che è cosa buona e giusta mettere all’indice, prima di smascherare le motivazioni reali dell'operazione.


Uno degli argomenti che ricorrono, al quale diversi paiono abboccare come il proverbiale luccio in curva, starebbe nell’affinità tra i due “popoli”, propensi ad abbracciarsi nell'afflato localista in nome della comune conterraneità maremmana. Perché l’identità prima di tutto. Insomma, una specie di ricongiungimento della diaspora dell’homo cignalide, come reazione orgogliosa, nientepopodimeno, all'introduzione arbitraria dei confini amministrativi fra i due territori…. Praticamente come Gorizia e Nova Gorica. Che però, proprio quest’anno, guarda un po’ l’ironia, celebrano l’inutilità del confine tra Italia e Slovenia in veste di unica capitale europea della cultura….


Poi c’è la motivazione ancora più inverosimile, kafkiana, che attecchisce su entrambe le sponde del “limes” (confine). Per cui Piombino si liberebbe dal giogo del porto patrigno di Livorno, che terrebbe sotto il calcagno i piombinati, mentre Grosseto, comica parvenu dello shipping, metterebbe finalmente in cascina un porto commerciale di adeguato lignaggio. A tal proposito basterebbe guardare i numeri per capire come sarebbe un matrimonio tra morti di fame, poiché tanto Piombino quanto la provincia di Grosseto sono due zombie sotto il profilo economico. Proprio in questi giorni il dibattito sul declino inarrestabile del fu Principato di Piombino. Coi portuali che chiedono di trattenere in darsena la nave rigassificatrice Golar Tundra (vista come il demonio dai benpensanti), ché almeno porta un po’ di lavoro.


Ma al di là di questo, non c'è nulla di più effimero della narrazione di un porto vessato da quello di Livorno. Non solo perché a capo dell'Autorità portuale del Mar Tirreno settentrionale (che ha sede a Livorno) c’è Luciano Guerrieri, ex sindaco di Piombino. Ma soprattutto perché proprio la Port Authority sta investendo massicciamente nello scalo piombinese nonostante l'economia cittadina legata all'acciaio (che alimentava il porto) sia in agonia da anni. Di pochi giorni fa la proroga, l’ennesima, della cassa integrazione per 1.500 operai.


Quanto a Grosseto, che dire? Cosa vorrebbe significare l’affermazione apodittica “finalmente avremmo un porto commerciale”? Anche volendo, considerato che l'unica grande azienda ad utilizzare le banchine piombinesi per ricevere zolfo è oggi la Nuova Solmine? Forse qualche astuto maremmano sta pensando di utilizzare la darsena di Piombino per invadere il mondo coi pinoli; che peraltro manco più vengono coltivati, complice il famelico parassita “leptoglossus occidentalis”. Piuttosto che con le salsicce di cinghiale, eccellenza della florida economia nostrale…. Fra l'altro, chi esporta olio o vino per nave, lo fa utilizzando da sempre il porto di Livorno che ha una antica specializzazione nell'agroalimentare (i Bottini dell'
Olio risalgono a inizio 1700).
Oppure, nella migliore tradizione dell'assistenzialismo parassitario, che qualcuno speri nell'istituzione di un’ulteriore Autorità portuale in grado di figliare qualche prebenda?


Cui prodest (a chi giova), quindi, questo dibattito frivolo e fumoso? Banale rispondere. A chi ha buttato sul tavolo la strampalata e inverosimile proposta: il sindaco di Piombino Francesco Ferrari. E ai suoi sodali dei Fratelli d’Italia. Grandi architetti politici della grande bufala.


E perché mai, dunque, ne trarrebbero vantaggio politico? Perché l’idea-non-idea di riunire per fagocitamento volontario Piombino alla provincia di Grosseto, è la celebrazione provinciale del sovranismo culturale. Prêt-à-porter (pronto a essere indossato) da qualunque bifolco che vive nella periferia della Nazione, il consenso del quale è l’obiettivo strategico dell’operazione politica. Un surrogato dell’ideale ottocentesco di Nazione (l’Italietta odierna) oggi in revival, a portata di mano di chiunque. Da ammannire assecondando l’illusione di potersi identificare in una grandeur de noantri. Bene immateriale sostitutivo di un disegno politico coerente, fondato, affidabile. Ma in qualche modo evocativo. Del quale approfittare in modo confortevole. Proprio perché etereo, dai contorni sfumati, che risparmia interrogativi scomodi ma solletica la pancia.


Brodo di coltura sub-culturale e identitario, funzionale alla prossima campagna elettorale dei Fratelli d'Italia per le imminenti regionali. Che così ruberanno la scena ai fratelli coltelli della Lega cavalcando il loro localismo straccione e sovranista. Cortina fumogena ideale per la più classica delle operazioni di distrazione di massa, se uno degli obiettivi è consolidare la presa della destra sulla Toscana del sud. Sottraendo chirurgicamente il cluster piombinese all’influenza labronica, pervicacemente ancorata a una cultura politica progressista e di sinistra.


In fin dei conti, tutto fa brodo. Perché la politica, almeno quella tristanzuola e priva di contenuti che oggi va per la maggiore, tende a capitalizzare più sentimenti come rabbia e identitarismo su una presunta base etnica - la maremmanitudine – che i contenuti pregnanti, solidi, basati su affidabili (noiose?) valutazioni economiche e sociali. Fra l’altro, en passant, poiché non è ancora detto che le elezioni regionali si svolgano quest’anno (nel centrodestra c’è chi spinge per accorparle a quelle del 2026), l’attuale sindaco di Piombino potrebbe in teoria essere tentato di fare il grande salto verso il consiglio regionale.


Il disegno è abbastanza intellegibile ad un occhio appena abituato a guardare oltre l’apparenza. Stupisce casomai l’ignavia di chi non coglie la necessità di sottolinearlo, forse  tanto politicamente debilitato da non avere argomenti per contrastarlo. Sottovalutandone la subdola pericolosità. Ma, d’altra parte, non si capisce neanche che pure l'opposizione a pale eoliche, pannelli fotovoltaici e geotermia – peraltro giustificati ipocritamente non come avversione alle energie rinnovabili in quanto tali - fa esattamente lo stesso gioco nel legittimare la subcultura antiscientifica che nega i cambiamenti climatici. Svolgendo un ruolo ausiliario che porta acqua alla cultura politica della destra.


Ad ogni modo. Nonostante tutto, Piombino continuerà a non valere una messa. Che poi qualcuno si eserciti in messe farlocche, in tempi di pensiero debole sta nella logica delle cose.

Commenti

  1. E se vendessimo Piombino a Trump?

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    1. Fermo lì! L'hanno già comprata gli ucraini di Metinvest in partnership con gruppo friulano Danielli! Hanno firmato l'accodo ieri a Roma per realizzare la nuova acciaieria........

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