🤺🤺🤺 #tiromancino - Grosseto città "malgrado", "impermeabile" o "permeabile"?


Grosseto “città malgrado”. Aveva coniato questa buffa e caustica locuzione il sociologo Gianfranco Elia, grossetano illustre, nonché magnifico rettore dell'università statale di Pisa.

Giorni fa, nella saletta conferenze del Polo culturale “Clarisse Arte” a Grosseto, questa definizione è stata riesumata da Mauro Papa, direttore dell’istituzione culturale, nel corso di un incontro promosso dall’associazione La Maremma delle Idee, intitolato “Grosseto città aperta, a chi?”. Uno di quei seminari tipo TEDx - dove un gruppo di persone che ha delle competenze dice la propria su un argomento, in un tempo limitato - ai quali partecipi quasi per caso e dal quale te ne torni a casa soddisfatto. Perché hai ascoltato qualcosa di stimolante. Ti si è aperta una prospettiva che non coglievi autonomamente. Perché ascoltare gli altri rinunciando al proprio protagonismo è un esercizio salutare di democrazia……

Nella fattispecie all’interrogativo su quanto sia aperta la città di Grosseto, nonostante la più celebre fra le descrizioni di Luciano Bianciardi – “città aperta ai venti e ai forestieri”, lucidamente tratteggiata dal professor Stefano Adami - le risposte arrivate nel corso del breve confronto non sono state particolarmente lusinghiere. Dal momento che un po’ tutti, chi più e chi meno, hanno colto trasversalmente il “genius loci” prevalente nella chiusura a riccio della città rispetto ai nuovi arrivati, e in generale alle novità. Un conservatorismo qualunquista, fine a sé stesso, nemmeno con una precisa connotazione culturale.

 

La percezione di Grosseto

La metafora più ricorrente, più gettonata, quella di una città costituitasi per sommatoria di “bolle”. Incapaci di comunicare le une con le altre. Una città non città – tipo il “tessuto non tessuto” – nella quale ambienti frequentati anche da persone capaci e competenti non riescono a forgiare un’identità condivisa. E nemmeno un vago “idem sentire”. Lettura convergente della realtà cui poi ognuno ha ricondotto una causa scatenante a seconda della propria esperienza o sensibilità. Chi connotando il contesto di significati positivi, in netta minoranza, chi attribuendogliene di decisamente negativi.

Un’ultima suggestione, appena accennata ma chiara: la mortificazione diffusa per l’assenza di una guida autorevole, ispirativa (direbbero gli americani). Ma anche di semplici punti di riferimento per i cittadini. J’accuse implicito alla classe politica di governo, come a quella d’opposizione. Ma più in generale ai gruppi dirigenti diffusi. L’evanescenza dei quali rimane da capire se sia più difetto intrinseco, piuttosto che fedele proiezione del corpo elettorale e di quello civico cittadino.

Procedendo per metafore – ricordando che chi scrive debuttò all’impegno civico a inizio anni 90 con un articolo pubblicato su Lo Spicciolo dal titolo “La città mancata” – forse per Grosseto sarebbe più calzante quella di “città impermeabile” a qualunque moto di cambiamento o novità, che evolve solo seguendo l’inerzia casuale degli accadimenti. Incapace di scegliere un senso di marcia. O almeno di provarci. Probabilmente irretita dalla trappola dell’inverno demografico.

Ma potrebbe essere anche la metafora speculare e contrapposta della “città permeabile”, che si fa attraversare da qualunque fenomeno arrivi senz’essere in grado di trattenere alcunché, né di farlo proprio. Digerirlo e plasmarlo a propria immagine e somiglianza. La città bagnata da tutte le acque che poi, però, fatalmente percolano via….




Un caso fra i tanti

Un esempio concreto di quest’indolenza costitutiva? Di questa lassità congenita. Ovverosia dell’inabilità oramai cronicizzata a darsi una direzione di marcia? La vicenda che sta interessando il centro veterinario militare, noto come Cemivet, che ha sede lungo la strada castiglionese. Alle porte di Grosseto.

Dopo dieci anni di imbarazzante dibattito retorico sul cavallo come simbolo della Maremma (?), e sulla mai fino in fondo circostanziata “eccellenza” (una delle parole più abusate degli anni 2000) del Cemivet, la storia si è conclusa come tutti sapevano oramai da almeno un paio d'anni sarebbe andata a finire: col trasferimento dell'allevamento dei cavalli da sella dell'Esercito italiano nel Centro militare di equitazione di Montelibretti, a due passi da Roma. Dove, d'altra parte, i pochi cavalli utilizzati dall'esercito e dalle forze armate in generale vengono utilizzati regolarmente. In gran parte destinati all'equitazione agonistica, dopo la fase di doma e addestramento dei puledri.

Nel frattempo, tutti quanti si sono dimenati in un profluvio di parole inutili per glorificare un'attività allevatoriale oramai agli sgoccioli, e aggiungiamo anche abbastanza fine a sé stessa. Nel tentativo di procrastinare uno status quo non più difendibile. Circa 100 cavalli, la gran parte dei quali oramai in pensione, con più di 200 fra militari e civili che avrebbero potuto essere impiegati in modo di gran lunga più proficuo per la “nazione”.

La cosa abbastanza surreale, dopo tanto patriottico sforzo a difesa del cavallo, è che nessuno – in primo luogo fra chi ha responsabilità di governo della città - pur sapendo benissimo quanto scontato fosse l’esito, si è preoccupato di ragionare per tempo su cosa fare di quell'area alle porte di Grosseto: 580 ettari di proprietà dell'esercito, sui quali c'è qualche decina di migliaia di metri cubi di edifici.

Naturalmente l'ignavia è stata trasversale agli schieramenti politici, con le forze di opposizione che il massimo sono state in grado di concepire è stato accodarsi al piagnisteo per la chiusura del centro ippico. Così come al tessuto associativo e imprenditoriale.

 

Aborti spontanei 

Quella che a prima vista potrebbe sembrare una piccola tragedia locale - lo smantellamento di un altro pezzo di articolazione del pubblico impiego – avrebbe peraltro tutte le carte in regola per essere un'opportunità a partire dalla quale immaginare un pezzetto del futuro di Grosseto. Sempre più evidentemente capoluogo dell'immobilismo. Dove l'apertura di un ristorante cinese da 300 coperti, piuttosto che quella di un supermercato, diventa un elemento centrale in chiave di sviluppo economico.

A inizio 2018, quando già era chiaro che fine avrebbe fatto il Cemivet, due politici grossetani, Luca Sani e Leonardo Marras, provarono a ipotizzare l'utilizzo di quei 580 ettari per ospitare un centro regionale o nazionale per la formazione di tecnici e volontari di protezione civile, o la coltivazione, trasformazione e confezionamento della cannabis terapeutica, oggi appannaggio dello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze. Nel 2022 Luca Sani ha anche proposto di realizzare al Cemivet la nuova sede del Gruppo d’intervento speciale (Gis) e del primo reggimento Carabinieri paracadutisti Tuscania, cogliendo al volo l'opportunità dell'opposizione maturata nei confronti dell’individuazione dell'area a Coltano (Pi), all'interno del parco di Migliarino-San Rossore. Naturalmente nessuna di queste ipotesi è mai decollata veramente, azzoppate dalle ottuse convenienze alimentate dagli opposti, e a volte convergenti, bigotti estremismi politici. Di chi non voleva dispiacere i militari del Cemivet. Di chi è contrario per motivi astrattamente politico-ideologici (e antiscientifici) alla cannabis terapeutica. Di chi non vuole altri militari su questo territorio.

 

The same old story

Ma al di là della condivisibilità o meno delle ipotesi fatte in queste occasioni, la vera tragedia è l'assoluta mancanza di idee alternative. Un deserto nel quale può sembrare verosimile anche che il Cemivet diventi il “polo nazionale dell'esercito italiano per la riabilitazione equestre”. Come a dire: fuffa incartata nel nulla.

Salvo il fatto che, fra qualche anno, in scontato ritardo sull'evoluzione dell'economia e al di fuori di ogni pubblica discussione, ci ritroveremo un bel bando nazionale che assegnerà quei terreni e quelle volumetrie a qualche imprenditore del mattone. Per realizzarci, con buone probabilità, una “innovativa” e non meglio definita attività di natura alberghiera. Magari preludio a qualche successivo cambio di destinazione d’uso urbanistica per farne una nuova zona di espansione edilizia. Un bel “villettificio” o “villettodromo”.

Qualcosa di molto simile a quello che già in parte si è materializzato, guarda un po’, con l'ex area logistica dell'aeroporto militare. Lungo la strada delle Collacchie, a ridosso di Marina di Grosseto. Dove, chi lo avrebbe mai detto, diversi ettari di quei terreni diventeranno (ideona!) un bell’hotel….. Ennesimo episodio della saga “Grosseto città permeabile”….

 

 

Commenti

  1. Alessandro De Carolis Ginanneschi4 novembre 2024 alle ore 07:04

    Bella analisi, condivisibilissima. Credo che alla base di tutto vi sia la mancanza di un autentico "popolo": le famiglie con radici maremmane da più di tre generazioni sono e sono sempre state pochissime, e gran parte di quelle pochissime sostanzialmente disinteressate alle vicende comuni - e comunali. Ho sempre avuto l'impressione che la gran parte degli abitanti, pressoché tutti immigrati nel secondo dopoguerra, non abbiano in realtà mai sentito (e forse voluto) di appartenere a questo territorio e così i loro figli (ma spero di sbagliarmi, e che chi abbia quelle competenze in sociologia che io non ho possa confutarmi, ed individuare altre cause). Senza considerare che più di un Sindaco, fino all'avvento di Alessandro Antichi, era stato scelto con logiche di partito: per cui chi veniva dalle Colline Metallifere, chi dall'Amiata ... senza entrare nel merito delle loro amministrazioni, quanto meno inconsciamente avulsi dal sentirsi parte di una società, prima che di un partito. Infine, un episodio di qualche anno fa ma che mi sembra esemplare: in un bar del centro storico, a turisti che chiedeva cosa ci fosse da vedere a Grosseto, la ragazza al bancone rispose "Qua niente, andate semmai a Castiglione che è più bella." Ovviamente all'uscita indicai loro cosa vi fosse invece da vedere e da visitare ... Voglio dire, anche una diffusa ignoranza sulla nostra storia e le nostre ricchezze, che comunque non sono poche.

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  2. Condivido ogni virgola. Dico solo "peccato".

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