🥶🧠🥶🧠🥶🧠 #tiromancino – La glaciazione demografica e quella dei cervelli

 


I numeri sono implacabili. La demografia, che sui numeri si basa, è sotto questo profilo una disciplina a suo modo feroce. Non incline alla pietà, diciamo.

Una di queste mattine, ascoltando la rassegna stampa di Radio24 (del Gruppo Sole24Ore), è saltato fuori un istruttivo servizio giornalistico basato sulla recente ricerca della Fondazione Nord Est che ha incrociato il quadro demografico con il mercato del lavoro nel Nord Italia, per fare una previsione di cosa succederà al 2040. Quindi entro 16 anni, non tra un secolo.

Bene, il Nord passerà dagli attuali 16 milioni di abitanti a 12 milioni e 800mila, con un calo netto di 3,2 milioni di persone residenti in quell'area del Paese. Una proiezione fatta al netto dell'apporto degli immigrati alla popolazione residente, cioè a dire con impatto a immigrazione zero. Ma questo è solo l’incipit. Perché, per quanto già sia preoccupante così – almeno nella prospettiva capitalistica della crescita infinita dei consumi - lo scenario si fa fosco se questi numeri vengono calati nel mercato del lavoro. Con la popolazione in età lavorativa (convenzionalmente dai 20 ai 64 anni) che diminuirà di 2,4 milioni di persone. Esasperando le difficoltà e le carenze con le quali hanno già da diverso tempo a che vedere i datori di lavoro pubblici e privati. In qualunque settore: dal manifatturiero al terziario, passando per l'industria; dall'agricoltura ai servizi alla persona.

Il direttore scientifico della Fondazione Luca Paolazzi e il ricercatore Lorenzo Di Lenna, hanno spiegato che sarebbe fuorviante parlare di “inverno demografico”, dando l'idea che a questa stagione subentrerà una “primavera”. Il termine più corretto dicono è “glaciazione demografica”, perché rispetto al mercato del lavoro, da oggi ai prossimi 16 anni, l'andamento delle nascite non avrà alcun impatto. Ammesso e non concesso che già da ora, per magia, comincino a crescere in maniera tumultuosa.

La Fondazione Nord Est, hanno aggiunto i due, si è data l’obiettivo di una «operazione chiarezza, necessaria per rendere coscienti famiglie, imprese e amministrazioni, centrali e locali, e adottare in modo consapevole le politiche, private e pubbliche, necessarie a mitigare l’impatto della glaciazione demografica».

Per capirsi, solo ragionando in termini economici. Il motore produttivo del Paese si ritroverà senza lavoratori in grado di far marciare la locomotiva: l’export, ad esempio, che da quelle parti vale fino al 40% del prodotto interno lordo. Un gap di manodopera che sarà solo parzialmente compensato da un innalzamento del tasso di occupazione all'interno delle diverse fasce di età – dai 55 ai 65 anni - e dal prolungamento della vita lavorativa conseguente anche all'allungamento della vita biologica. Oltre i 65 anni. Peccato che non basterà, nemmeno lontanamente. E quelli che mancheranno di più, saranno proprio i lavoratori qualificati. I più necessari in un Paese che vuole rimanere nel primo mondo, perché evidentemente è molto più conveniente.

 

E in Maremma e sull’Amiata?

Quel che succede di là dalle Alpi riguarda anche noi. Che siamo messi anche peggio del Nord Italia. La provincia di Grosseto, infatti, soffre da anni di una sindrome grave da spopolamento. Testimoniata dai numeri: 227.500 residenti nel 2010, diventati 216.300 nel 2023, undicimila abitanti in meno in appena 14 anni. Di questi, 22.293 sono stranieri, ovverosia il 10,3% del totale. E non basta, perché attualmente le classi di età più giovani sono drammaticamente meno numerose di quelle della popolazione dai 40 anni in su. Il tasso di fertilità (numeri di figli per donna fertile) è infatti di 1,09 (media nazionale 1,20), quando per garantire il ricambio tra nati e morti, cioè per mantenere stabile la popolazione, dovrebbe essere 2,1 figli per donna in età fertile (convenzionalmente 15-49 anni). Nella Toscana dei vecchietti, non a caso, Maremma e Amiata grossetano sono fra i territori con la popolazione più “matura”.

Uno dei primissimi articoli del #tiromancino, nel novembre 2016 (C’è una vacca gigantesca in corso Carducci), riprendendo la celebre metafora bersaniana, metteva in evidenza come già allora il fenomeno dello spopolamento fosse evidente e rischiasse di portare con sé conseguenze nefaste.

Oggi quei problemi sono lapalissiani. Un esempio per tutti. Ipotizziamo che alcune delle poche aziende industriali e manifatturiere della provincia – Noxerior, Elmu, Tosti, Pluripanel, Kelli, Venator, Sumiriko, Mar Zinc, Kyma Yacht, Solmar, Terranova, Elettromar, Opus Automazione, Sicet, Ofec, solo per citarne alcune - abbiano bisogno di assumere personale qualificato, che ha almeno un diploma di scuola superiore coerente con il loro tipo di produzione. Tutte queste aziende, in competizione ad esempio con quelle che si occupano di impiantistica, già oggi si rivolgono quasi esclusivamente all’Istituto tecnico industriale Manetti, facendosi fra loro una concorrenza spietata per assumere i pochi diplomati disponibili. Le quinte classi utili, infatti, sono solo sei: due con indirizzo informatico, una ciascuna in meccanica e meccatronica, elettronica, energia, elettrotecnica; con in media 15 studenti a classe. Alla fine, quindi, le aziende - escludendo chi prosegue gli studi all'università, chi lavora nell'azienda di famiglia e chi si orienta su lavori non coerenti con gli studi - hanno come platea potenziale di riferimento per selezionare chi assumere appena una cinquantina di diplomati all'anno. Tanto è vero che provano spesso a pescare anche nel bacino del vicino istituto tecnico industriale di Piombino. Come alternativa ci sono l'istituto minerario di Massa Marittima, oppure l’Istituto professionale di Arcidosso. Tutte le scuole di cui parliamo, però, hanno pochi studenti a causa del crollo delle nascite e quindi garantiscono pochi diplomati rispetto alla domanda di lavoro complessiva.

Quello del mismatch tra domanda e offerta di lavoro, perciò, al di là delle difficoltà croniche del sistema dell'istruzione superiore a formare diplomati subito in grado di inserirsi nel mondo del lavoro, è uno dei problemi conseguenti alla famigerata “glaciazione demografica”. 

 

Politica ignava, dibattito pubblico surreale

Uno status quo tanto evidente, sotto gli occhi di tutti, reclamerebbe contromisure. O meglio, una discussione pubblica all’altezza. Anche perché la “glaciazione demografica” non è solo un problema per le aziende in difficoltà a trovano persone da assumere, ma è un tema di prospettiva (a breve) che stravolge l'intero assetto della nostra società. Tanto più in una realtà piccola come quella della provincia di Grosseto, da sempre caratterizzata dal basso numero di residenti. Che senza l'apporto determinante degli stranieri, con il 28,9% di residenti ultrasessantacinquenni, sarebbe praticamente una rarefatta riserva indiana per una popolazione attempata.

E non basta più ripetere, come ad esempio fa trasversalmente quasi tutta la politica cui spetterebbe dare lesoluzioni, le solite parole d'ordine: gli stipendi sono troppo bassi (cosa vera), i servizi di sostegno alla famiglia inadeguati (solo in parte), l'organizzazione del lavoro non tiene conto della conciliazione tempi di vita/tempi di lavoro (lapalissiano). Non basta perché i comportamenti riproduttivi stanno cambiando in profondità. Come testimonia la recente indagine dell’Istituto Toniolo (riportata da Repubblica, Sole24Ore, Vanity Fair…): su 7.000 donne intervistate che non hanno figli, infatti, il 21% ha detto che non ne vuole (child-free), e il 29% che è poco interessata ad averne. Che piaccia o meno, la genitorialità non è più per molte e molti né un obbligo sociale, né un destino biologico.

Quindi? Quindi bisognerebbe volere volare (alto). Evitando magari di “appassionarsi” alle gesta di una persona con problemi psichiatrici che tira oggetti in via Roma a Grosseto, solo perché extracomunitario. Smettere di pensare che l’integrazione degli stranieri è una questione che non ci riguarda come comunità, considerato che la provincia di Grosseto continua ad attrarre immigrazione, ma solo quella a bassa qualifica professionale impiegata come carne da cannone in agricoltura o nel turismo. Prendere atto una volta per tutte che il razzismo è “merce” avariata e che siamo destinati a essere una società multietnica e multiculturale. Ma anche che se non troviamo alla svelta il modo di essere attrattivi nei confronti di chi viene “da fuori” – puntando sulla qualità della vita? Servizi avanzati? - bene che vada diventeremo una Disneyland di provincia per pensionati benestanti.

Sul piano dello sviluppo economico c’è altrettanta strada da fare, per emanciparsi. Ad esempio: considerato che Iren Ambiente spa realizzerà un polo dell'economia circolare al Casone di Scarlino dove confluiranno da tutta la Toscana almeno 400mila tonnellate di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, possibile che nessun politico o amministratore locale si sia posto il problema della logistica delle merci? Visto che ci sarebbe la possibilità di realizzare un piccolo terminal ferroviario in quell'area? Possibile che in questa realtà - esclusi gli Istituti tecnologici superiori (Its) su agroalimentare, turismo e edilizia (gli ultimi due recentissimi) - la formazione professionale sia in stragrande maggioranza orientata su qualifiche di basso livello e su settori tradizionali e per niente innovativi?

Allo stesso modo, anche sul trend demografico e su cosa questo comporterà in termini di sviluppo economico – è pensabile continuare a sperare solo nella crescita dei consumi? – oltre che di qualità della vita, il dibattito è asfittico. Più confortevole discettare della candidatura di un generale disadattato, non a proprio agio con la modernità. O prendersela con l’Europa, omettendo che da due anni il nostro prodotto interno lordo è tenuto a galla dalle risorse del Pnrr. Alimentando l'insana narrazione sovranista di un Paese, azzoppato dai propri limiti storici, che avrebbe i numeri per fare da solo. Coltivando quel campanilismo mentale così radicato nella Toscana di provincia.

Nell’immobilismo che regna sovrano, le uniche forme di “vitalità” che sembrano appassionare pezzi di opinione pubblica, e la politica che quasi sempre insegue, sono le opposizioni a pale eoliche, impianti fotovoltaici e centrali geotermiche. Con la glaciazione che dalla demografia si estende inesorabile alle idee.

Commenti

  1. Come sempre chiarissimo stimolante e giustamente polemico.!

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  2. Dobbiamo capire che accogliere e integrare gli stranieri non è solo una questione morale ma una necessità

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    1. tanto, volenti o nolenti, dovranno capirlo...... ;-)

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  3. Il mondo da sempre è aperto a scambi culturali. Certamente dobbiamo capire come accogliere nel migliore dei modi e come far si che chi viene si integri. un Do ut des che non può che giovare a tutti.

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  4. Condivido il tuo articolo in ogni suo passo....se mi consenti nell'evoluzione del percorso demografico prossimo futuro (domani e forse già oggi) anziché parlare di glaciazione userei, per il nostro territorio, il termine(!) deserto, senz'altro più appropriato.
    Come più volte evidenziato in prov.di Gr in12 anni abbiamo perso oltre 12 mila residenti , l'equivalente della popolazione dei più piccoli otto comuni della provincia...se questo è il passato, provate ad immaginare il futuro....

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