❌❌❌ #tiromancino – Gessi rossi Venator: le forche caudine della classe operaia (che andrà in paradiso)
Molto rumore per nulla, dunque. Parafrasando la celebre commedia shakespeariana.
Perché «l’avviso di diniego» burocraticamente comunicato in sede di conferenza dei servizi all’azienda che aveva proposto di utilizzare i “gessi rossi” di Venator per il ripristino ambientale della ex cava di Pietratonda, nel comune di Campagnatico, prefigura una bocciatura in quanto il sito non sarebbe «compatibile paesisticamente con il contesto di inserimento». Non perché la ex cava sarebbe permeabile alla falda idrica (che non è lì sotto), né perché gli orripilanti gessi rossi sarebbero il materiale più inquinante del mondo. Com’è stato descritto con fervida fantasia dai comitati afflitti da sindrome di Nimby. Perché per l’Arpat, con prescrizioni, la cosa si poteva fare tranquillamente.
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Cava Montioni: ripristino ambientale coi gessi rossi |
Molto rumore per nulla, dunque, ma non per gli operai della Venator e per quelli delle aziende della piana di Scarlino che lavorano nell’indotto. A partire dagli operai di Nuova Solmine, che a Venator fornisce per il suo ciclo produttivo il 40% del proprio acido solforico. O da quelli di Crosa Group, che si occupa di manutenzioni industriali. Secondo i sindacati più o meno 800 persone.
In terra di seconde case e di economia sommersa a trazione turistica, essere operai è evidentemente considerata una iattura. Ed è normale che l’industria sia ostracizzata. Per cui la soluzione di un problema che tutti conoscevano da anni, può essere tranquillamente procrastinata «sine die». Arrivando a rischiare di trovarsi senza un sito di stoccaggio per un «rifiuto speciale non pericoloso», e mettendo in forse la continuità produttiva di un’azienda che, per dire, fattura 130 milioni di euro, copre il 45% dell’export provinciale, versa 25 milioni di stipendi, e dà lavoro diretto e indiretto a più di 400 persone.
Tutti colpevoli, nessun colpevole, come da copione. I sindaci alfieri delle proprie comunità, e ci mancherebbe altro. I politici, proni al consenso e incapaci di costruirlo. I comitati, in missione per conto di dio contro le perfide multinazionali (manco fossero i fratelli Blues). L’azienda, “ingenua” vittima dell’immarcescibile malanimo verso l’industria. Le associazioni di categoria, ostaggio dei propri corporativismi. Il popolo, impaurito e diffidente nei confronti di chi inquina. La Regione, che democraticamente rispetta le Autonomie locali. Ognuno col proprio alibi perfetto, a proprio agio nel gioco delle parti dello scarico di responsabilità. Mobilissimi nelle dichiarazioni, quanto immobili nei fatti. Corresponsabili nel far marcire il problema, pur di non prendersi pubblicamente la responsabilità di una soluzione. Salvo forse i sindacati, naturalmente accusati di cedere alla logica del ricatto occupazionale, che hanno però avuto il torto di non aver condotto gli operai sulle barricate da almeno un anno a questa parte. Occupando i consigli comunali per imporre il tema nei termini corretti all’attenzione pubblica.
Ma c’è molto altro. Perché questa vicenda è un vaso di Pandora dei paradossi e dell’inconcludenza. Per esempio. Mentre giovedì la conferenza dei servizi recepiva come base del suo «avviso di diniego» un barocco e pencolante parere negativo della Sovrintendenza della Toscana del sud – annullando in autotutela (ah, le iperboli del diritto) due precedenti pareri favorevoli di giugno e agosto 2020 – che sostiene quanto sia orrifico per il paesaggio riempire coi gessi rossi un’ex cava, con tanto di bacino d’acqua pluviale (non lago) carica di metalli pesanti. Oltreché realizzare un “montarozzo” più alto di una cinquantina di metri di quello esistente. Il giorno successivo, intanto, gli assessori regionali Marras (economia) e Monni (ambiente) erano a Follonica con gli amministratori, per impegnarsi a realizzare una “riserva naturale regionale” (estesa su cinque Comuni e due Province) nell’area di Montioni. Dove - guarda un po’ - c’è proprio l’ex cava di Montioni, nella quale Venator ha messo a dimora una decina di milioni di metri cubi degli stessi gessi rossi destinati a Pietratonda. Perché il sito follonichese, iper-monitorato da vent’anni senza mai evidenziare problemi d’inquinamento, esaurirà lo spazio entro l’autunno prossimo.
L’epopea dei gessi rossi di Venator, peraltro, mette in luce una delle cause profonde della marginalità economica di questo territorio. Che risiede nell’ostilità culturale preconcetta a qualunque tipo di sviluppo collegato all’industria, la quale, a sua volta, anche per questo produce solo l’8-9% del valore aggiunto provinciale a fronte di una media regionale che supera il 20%. Atteggiamento coltivato con continuità dalla lobby Nimby (not in my backyard: non nel mio cortile), e colpevolmente sottovalutato nelle sue catastrofiche conseguenze. Un riflesso condizionato, oramai, che di fronte all’emergere di un qualunque problema, impone l’attacco a testa bassa per impedire la realizzazione di un impianto o di un’infrastruttura, non l’individuazione della soluzione più ragionevole. Com’è successo in passato con l’epica battaglia (fortunatamente persa) contro l’impianto di compostaggio a digestione anaerobica di Acea a Monterotondo Marittimo. Un investimento da 22 milioni che ogni anno consente di trattare 70mila tonnellate di fanghi di depurazione, per produrre biogas e circa 6 GWh di energia elettrica.
D’altra parte, è di questi giorni la notizia che a Castell’Azzara – uno dei comuni più isolati della Toscana - è stata sospesa l’installazione di un’antenna di Wind-Tre perché le onde elettromagnetiche disturberebbero nientepopodimeno che «12 diverse famiglie di pipistrello». Naturalmente a seguito della raccolta firme promossa da un comitato locale.
Un discorso a parte, poi, meriterebbe la Sovrintendenza. A prescindere dal ruolo decisamente imbarazzante avuto sulla partita dei gessi rossi di Venator. Perché nonostante i meriti generali acquisiti nella salvaguardia dei beni pesistici e ambientali, è evidente che il potere attribuitole dalla legge è spropositato rispetto alla sua natura di organo autocratico. Soprattutto in quanto concede una discrezionalità troppo vasta e nei fatti quasi insindacabile. Spesso esercitato in modo autoreferenziale e con un evidente collateralismo a certo pensiero para-ambientalista. Finendo col penalizzare ingiustificatamente interessi che hanno diritto d’essere tutelati al pari di altri.
Infine, ci sarebbe da parlare del terrorismo ideologico fatto in questi anni sul biossido di titanio (TiO2). Un “mostro” col quale abbiamo a che fare quotidianamente: come pigmento di ogni tipo di vernice, ma anche per la cosmesi (filtri solari), prodotti per l’igiene (dentifrici) o usi alimentari (gomme da masticare, caramelle e dolci). L’ultima moda è sostenere che il Regolamento Ue 2020/217 ne avrebbe sancito la cancerogenicità. Quando in verità è classificata «cancerogena classe 2» la polvere di biossido di titanio, in caso di inalazione. Cioè a dire alcune miscele liquide o solide con una concentrazione di biossido superiore o uguale all’1% e di un diametro aerodinamico microscopico: ovverosia in forma vaporizzata o di polveri respirabili. Ipotesi che nulla ha a che vedere col caso dei gessi rossi, che contengono concentrazioni di molto inferiori a quelle indicate. Tant’è vero che sono considerati rifiuti speciali non pericolosi, utilizzabili con opportuni trattamenti nell’edilizia, come materiale di riempimento per ripristini ambientali e come fertilizzante. Certo: se inalato direttamente con una banconota arrotolata da 50 euro (come fosse cocaina) nella suddetta forma e concentrazione, il biossido di titanio sarebbe cancerogeno. Ma anche il borotalco se aspirato in tale modalità sarebbe pericoloso. Questo per dire come una fake new ascientifica diventa senso comune, e genera catastrofi a catena eccitando gli animi.
Concludendo. Venator ha preso atto con amarezza del parere espresso in conferenza dei servizi sul progetto di ripristino della ex cava coi gessi rossi provenienti dal sito di Scarlino. «Convinta - recita il comunicato - della validità del progetto di ripristino allo stato originario dalla cava di Pietratonda, volto a favorire un habitat sostenibile ricco di flora e fauna». Giovanni Fusco, managing director di Venator Scarlino ha quindi commentato: «intendiamo migliorare ulteriormente la nostra proposta e lavorare con tutte le parti coinvolte per ottenere un risultato che porti ad un positivo ripristino della cava».
Traducendo in “concretese”, significa che non ci sono problemi né di tossicità del materiale per il ripristino ambientale, né d’inquinamento della falda. Ma solo valutazioni negative di natura paesistico ambientale che possono essere superate. Magari si fosse fatto prima senza legittimare arzigogoli dialettici di equivoca natura, sarebbe stato meglio.
La classe operaia della piana di Scarlino ha dovuto passare incolpevole sotto forche caudine che non meritava, ma alla fine andrà in paradiso. E manterrà il proprio lavoro. Se lo augurano in tanti.
#tiromancino
Io non sono né geologo, né chimico ecc. ovvero non sono uno che ha competenza tecnica sulla questione in dibattimento. Vorrei però far presente che la natura si è addirittura "ripresa" Chernobyl, figuriamoci se non può far fronte ai "fessi rossi"!
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