❎❎❎ #tiromancino – Quelli che la Maremma «no al manifatturiero»

Poi ci sono quelli che in Maremma sostengono l’incompatibilità tra tutela ambientale e attività manifatturiere. Che combattono coltello fra i denti per far passare la narrazione di una terra bucolica, incontaminata e agreste, dove l’indubbia vocazione agricola e turistica confligge irrimediabilmente con ogni ipotesi di crescita del settore industriale e manifatturiero. Di più: sostengono che ogni tentativo di insediamento manifatturiero è un colpo esiziale alla reputazione turistica di questa terra. Ogni tentativo di mettere in piedi una filiera a trazione industriale un attentato al genius loci maremmano. Che si regge sulla favola artefatta del maremmano rude e misantropo, buon selvaggio custode di un presunto Eden, e sullo stereotipo fuori dal tempo del buttero. Che ovviamente è un’icona di questa terra, buona per la promozione turistica, non certo come chiave di lettura per quel che sarà in futuro. Ma tant’è.


Quel che sta succedendo in questi giorni con la furibonda polemica alzata sulla collocazione dei gessi rossi nell’ex cava di caolino (minerale silicato dell’argilla) di Pietratonda, è solo l’ultima puntata di una lunghissima sequela di azioni d’interdizione allo sviluppo economico. Oltretutto, in questo caso, a una buona pratica di economia circolare, col riutilizzo di uno scarto industriale non pericoloso per ripristino ambientale.

Una progressione impressionante che va avanti da anni, e che merita ripercorrere. Dal No all’autostrada a quello alle pale eoliche, dal No al polo logistico al cogeneratore di Scarlino. Passando per il No alle antenne 5G, allo sviluppo della Geotermia, agl’impianti fotovoltaici di grandi dimensioni, alle centrali a biomasse. Fino ai ricorsi al Tar contro i tagli di manutenzione di boschi e pinete, alle polemiche sulla pulitura di fossi e canali da parte del Consorzio di bonifica, sulle casse di laminazione per mitigare gli effetti delle piene dei fiumi o sulle opere di contrasto all’erosione costiera.

Con fenomeni parossistici come le prese di posizione contro l’agricoltura idroponica su cui ha puntato la società Sfera agricola alla Castellaccia (Gavorrano), con l’argomento surreale che l’agricoltura si fa in campo e non nelle serre. O come le critiche all’interramento lungo l’argine dell’Ombrone – a Ponte Tura, tra la Steccaia e San Martino – di 1700 metri di tubo del diametro di due metri e mezzo, pensato per rinforzare la base dell’argine e allo stesso tempo alimentare una piccola centrale idroelettrica.

Insomma, un fuoco di fila, promosso sempre da una pleiade d’ingegni alati, che finisce inevitabilmente per scoraggiare, oltre che ostacolare, ogni iniziativa.


Questa mentalità, peraltro, si basa su una visione passatista della tutela ambientale. Schiacciata su un approccio “conservazionista” duro e puro, che oppone il mantenimento dello «status quo» alla ragionevole soluzione dei problemi che com’è sempre successo nei secoli lo sviluppo economico genera. Basterebbe pensare all’epopea delle bonifiche della piana grossetana – dai Lorena all’Ente Maremma - che in un paio di secoli ha letteralmente stravolto il paesaggio e la vocazione produttiva della provincia di Grosseto.


Un pensiero tipicamente conservatore, che non a caso fa proseliti entusiasti fra latifondisti (salvo si tratti di aree potenzialmente edificabili ai margini dei centri abitati), «rentiers» e oligopolisti che si godono la rendita di posizione dei beni pubblici, come le spiagge. E che per corollario, attraverso la criminalizzazione culturale del profitto, finisce col danneggiare il mondo della produzione e quindi del lavoro. Quello che dà da mangiare alla classe media e medio-bassa, che campa del proprio lavoro e non ha beni al sole e rendite di posizione da mettere a frutto.


Un paradosso per cui l’ambientalismo malinteso, oltre a non cogliere l’essenza delle sfide inerenti la transizione ecologica (oggi di moda, ma travisata), diventa una delle principali cause della marginalità economica di questa terra. Dove, al di là delle diverse isole di benessere e di capacità produttiva che pure ci sono, la regola vigente è quella di un’economia di sussistenza, autoreferenziale e poco orientata all’export. Asfittica, connotata da posti di lavoro poco qualificati e mal retribuiti. Con la conseguenza che le nostre comunità sono fortemente arretrate in chiave d’innovazione produttiva, urbanistica e di cultura ambientale praticata. Oltreché depauperate delle migliori giovani energie, più qualificate in termini di formazione professionale, che in modo crescente lasciano la Maremma per lidi più promettenti perché più dinamici. Non intrappolati nel recinto autoconsolatorio della terra più bella del mondo, ma avara di soddisfazioni.


Gl’indicatori economici – che a dispetto della vulgata non sono per niente indipendenti rispetto a quelli della qualità della vita – sono chiarissimi e impietosi: la provincia di Grosseto è ultima in toscana, o al massimo se la gioca con Massa Carrara, su Pil, valore aggiunto e reddito procapite. Oltre ad avere la peggiore performance, guarda caso, nel manifatturiero/industria (8-8.50% a fronte di una media regionale sopra il 20%) e nell’export. Un risultato in parte legato al tessuto produttivo storicamente troppo parcellizzato in microimprese, ma in parte conseguente all’ostracismo culturale nei confronti delle attività manifatturiere. Generalmente associate a dimensioni aziendali piccole o medie, non micro.


Il primo ad avvertire il pericolo fu qualche anno fa il presidente della Regione Enrico Rossi. Che paventava per la Toscana il rischio di diventare una Disneyland per facoltosi pensionati, nel caso avesse lasciato decadere la propria manifattura. Dalla meccanica alla moda, dalla farmaceutica alla chimica.


Ecco, in Maremma se certa cultura continuerà a imperversare, la profezia si avvererà presto. Non a caso l’unico comparto manifatturiero che non è mai entrato in una crisi devastante, e che da due anni sta rialzando la testa, è quello dell’edilizia. Con le seconde case per i turisti e le magioni di lusso per i pensionati d’oro che continuano imperterrite ad avere mercato. Come se non avessero un impatto ambientale.  


#tiromancino

Commenti

Posta un commento

Post più popolari