🚹🚺🚻 #tiromancino - Tra 15 anni (nel 2036) mancheranno lavoratori. 5 ogni 6 pensionati con basse qualifiche. 18 ogni 100 per quelle medio alte. Gli stranieri ci servono
Quelli un po’ più svegli sono anni che predicano nel deserto. Ora comincia a essere voce di popolo, e anche i media mainstream si stanno appropriando dell’argomento. Zappando l’orto emotivo della denatalità degl’Italiani - dell’«inverno demografico» come l’hanno definito i demografi – perché ancora il tema dell’immigrazione rimane un tabù. Grazie ai dieci anni di demagogia razzista salviniana e meloniana che ha identificato l’immigrazione col problema degli sbarchi dei profughi.
Ora, però, è tutto molto più chiaro. Entro il 2036 – fra quindici anni, non un secolo – avremo una carenza tale di lavoratori, che per alimentare il nostro sistema produttivo (ergo il sistema di welfare che ci trattiene nel primo mondo) saremo costretti ad andare a mendicare nei Paesi del terzo mondo le figure professionali che ci servono. «Non solo per manodopera a bassa specializzazione, ma anche per diplomati e laureati». Con ogni probabilità in competizione sfrenata con gli altri Stati europei, e con quelli più dinamici economicamente in giro per il mondo.
A dirlo chiaro e tondo, non sono i soliti “komunisti” a caccia di pretesti per favorire l’ingresso di clandestini. Ma il l’autorevolissimo istituto di ricerche politiche e socio-economiche Carlo Cattaneo di Bologna. Think tank nato per filiazione dal Mulino, celebre rivista fondata sempre a Bologna nell’immediato dopoguerra, di cui quest’anno ricorrono i 70 anni dalla fondazione.
Per capire cosa sta succedendo, bisogna partire dagli ultimi dati Istat dello scorso marzo. Al 1° gennaio di quest’anno l’Italia aveva appena 59 milioni 259mila abitanti, con una decrescita della popolazione residente al 2020 che si consolida oramai da sei anni consecutivi. Ad esempio, in provincia di Grosseto – territorio già spopolato per antonomasia – oggi siamo appena 218.500 persone, grazie a più di 20.000 stranieri, a fronte dei 223.000 residenti di sei-sette anni fa. Il problema, tuttavia, non si limita al fatto che siamo pochi, ma è fortemente aggravato dal fatto che siamo troppo vecchi, con un rapporto di 2,5 over65 per ogni under15. Con un tasso di natalità (figli per donna in età fertile) che sta intorno all’1.3 (media europea 1.56), quando il tasso di sostituzione che garantirebbe il mantenimento della popolazione stabile (rapporto nati/morti), sarebbe garantito da un tasso di natalità del 2.1. Tutte cose sulle quali il #tiromancino batte dall’esordio, nell’ottobre 2016.
Tornando all’Istituto Carlo Cattaneo, il problema è che «l’analisi del turnover del mercato del lavoro al 2036, rivela livelli di mancanza di forza lavoro superiori a quelli odierni». Già oggi, infatti, nelle basse qualifiche ogni tre pensionati si registra un nuovo ingresso. Con un mix tra calo demografico e crisi economica (la terza dopo quella dei mutui sub-prime nel 2008, e del debito statale regalataci da Berlusconi nel 2011) che per alcuni profili professionali vede la domanda di lavoro da parte di aziende e privati superare l’offerta. Una conseguenza diretta sia dell’invecchiamento della popolazione (pochi figli) che del drastico rallentamento dell’immigrazione. Con un saldo tra ingressi e uscite in Italia che superava le 200mila persone all’anno fino al 2008, ma che oggi è di appena 80mila.
Tra quindici anni, ad ogni modo, la situazione sarà di gran lunga più drammatica. «Nelle regioni del Centronord – spiegano i ricercatori del Cattaneo - la carenza di manodopera a bassa qualifica sarà tale che per ogni nuovo ingresso andranno in pensione 6 lavoratori; che saranno oltre 6 nel caso della componente femminile». Le implicazioni di quest’evoluzione sul lavoro di cura, sono lapalissiane. «Anche assumendo prudenzialmente (ma irrealisticamente) il mantenimento degli attuali livelli di domanda di lavoro domestico e di assistenza agli anziani, è chiaro che il fabbisogno strutturale di addetti a queste occupazioni, per lo più donne immigrate, potrà essere soddisfatta solo con livelli crescenti di reclutamento dall’esterno». Non si parla peraltro solo di “badanti”, ma di molte altre professionalità: «nei settori dequalificati del terziario, nell’economia dei distretti e della piccola e media impresa nelle regioni del Nordest e del Centro, nell’agricoltura job-intensive».
E non solo questo. Per la prima volta l’insufficiente tasso di ricambio della popolazione non riguarderà solo i non diplomati, ma anche diplomati e laureati: «perfino nelle regioni meridionali e insulari dove, ancora oggi, vi sono 162 potenziali nuovi ingressi per 100 prossimi pensionati». Secondo il Cattaneo, infatti, per le qualifiche più elevate, nel 2036 nel Mezzogiorno «i nuovi potenziali ingressi al lavoro saranno 98 ogni 100 uscite, mentre nel Centro-nord saranno 82». Uno scenario distopico perché nel 2036 «saremo in piena “tempesta demografica”, con il massimo di lavoratori in uscita (i figli del “baby boom”) e il minimo di potenziali lavoratori in entrata».
Posto che il 2021 sia davvero l’anno della ripresa economica – Confindustria dice che il settore industriale recupererà 100 miliardi, a fronte degli 88 persi l’anno scorso – con buona pace di razzisti e xenofobi, i lavoratori stranieri saranno vitali per tutti noi. Perché, come chiarisce l’Istituto Cattaneo, «le immigrazioni dall’estero resteranno essenziali – almeno per i prossimi vent’anni – per il rinnovo della forza di lavoro e della popolazione italiana».
Ciò chiarito, merita dare uno sguardo in casa nostra. Facendo un apparente salto logico, che in verità è molto coerente con quanto precede.
È di questi giorni il tam-tam sui media regionali della preoccupazione diffusa fra gli operatori turistici – ristoratori, titolari di stabilimenti balneari, albergatori – perché non riescono a trovare camerieri, cuochi, addetti di spiaggia, personale alberghiero di diverse professionalità. A seguito delle chiusure indotte per un anno dal Covid, infatti, molti ex stagionali del turismo hanno cercato altri lavori e nel frattempo hanno scoperto che è meglio prendere un po’ meno per 12 mesi all’anno, che qualcosa in più per due o tre mesi. Lavorando come muli da soma durante la stagione, comunque sottopagati (o pagati in nero). Un problemino serio, del quale – guarda caso nel momento del bisogno – si comincia a parlare esplicitamente, pronunciando tardivi e opportunistici “mea culpa”. Come, ad esempio, si è letto sulle pagine del Corriere Fiorentino.
Per chi fosse scettico, a proposito della diffusione del lavoro precario e sottopagato nel comparto turistico, sarebbe utile un tour alla Cgil, per ascoltare le storie di molti giovani che ai tempi del Covid hanno scoperto di ricevere un’indennità Naspi troppo bassa, perché gli erano state segnate un terzo o un quarto delle ore effettivamente lavorate. Sarebbe istruttivo anche per gli entusiasti dei Like alle foto capalbiesi dei “Ferragnez”, tetragoni nella convinzione che quella sia la soluzione per dare un futuro “glamour” al nostro turismo….
A parte gl’improvvisati economisti da social. Questa roba qui, invece, andrebbe messa in relazione proprio al deficit prossimo venturo di lavoratori stranieri anche sul nostro territorio. Tenendo in debito conto l’allarme suonato dall’Istituto Cattaneo. E bisognerebbe anche riflettere sia sul modello di sviluppo da implementare in questo territorio per i prossimi anni – che qui mancano camerieri e addetti di spiaggia, nella Toscana manifatturiera operai specializzati, tecnici di fascia medio alta, analisti e addetti al marketing – sia sul fatto che anche nel settore del turismo (o in agricoltura) sarebbe ottuso e suicida pensare di risolvere i problemi sostituendo lavoratori italiani sottopagati con extracomunitari pagati ancora meno.
Non foss’altro perché – come spiega l’Istituto Cattaneo – a breve ci sarà talmente tanto bisogno di loro, che non è mica detto non capiscano al volo quanto ci siano indispensabili.
Commenti
Posta un commento