💥💥💥 #tiromancino – Il corridoio (tirrenico) che porta alla camera mortuaria dell’economia maremmana








Il Corridoio tirrenico è allo stesso tempo un archetipo e un pretesto. Per parlare dell’inconcludenza recidiva dei gruppi dirigenti diffusi della provincia di Grosseto, politici, associativi e imprenditoriali, quasi tutti accomunati dal conformismo dell’immobilità come cifra comportamentale. Naturalmente perché la “terra più bella del mondo” – immaginata con iconico provincialismo – merita sempre uno sforzo corale per perpetrarne lo status quo. L’isolamento come elemento identitario nell’illusione autoinflitta che questo coincida con l’originalità di una via alternativa allo sviluppo. Salvo il fatto che la via non è stata tracciata, né il tipo di sviluppo selezionato.

 

Giaculatorie, geremiadi e querimonie di questi giorni a seguito dei ritardi nella nomina del commissario ad acta per la realizzazione del Corridoio tirrenico, per quanto declamate con toni perentori, sono in questo senso l’esaltazione involontaria dell’ininfluenza di tutti coloro che si esercitano nelle lamentazioni. I quali, a esser coerenti, farebbero meglio a pronunciare pubbliche abiure, cui far seguire un autodafé collettivo.

 

Quello che succede oggi, a 52 anni da quando s’iniziò a parlare del famigerato Corridoio tirrenico, è infatti la logica conseguenza della decisione di non far realizzare l’autostrada. Andando a ritroso nel tempo, delle pantomime sui diversi tracciati, in cui tutti a suo tempo si sono esercitati trovando l’alibi perfetto per giustificare il rinvio di ogni decisione.


Perché è evidente che le odierne «pastoie burocratiche e amministrative» sono solo un alibi, grosso come una casa. Qualcuno pensava forse, ragionevolmente, che Società autostrade tirreniche (Sat), detenuta da Autostrade per l’Italia (Atlantia), avrebbe ceduto ad Anas la propria concessione senza trattare per portare a casa quanto più poteva? Oppure, qualcuno riteneva plausibile che la trattativa seguita al crollo del ponte Morandi per riportare Autostrade per l’Italia sotto il controllo dello Stato (51% Cdp, 24,5% Blackstone e 24,5% Macquire), non condizionasse a sua volta i tempi del passaggio da Sat ad Anas?

 

La verità, papale papale, è che i ritardi ammontinati con patetici stop & go, tatticismi e dichiarazioni fatue, sono solo la conseguenza logica, e prevedibile, di scelte improvvide fatte oramai alcuni anni fa. Con l’aggravante, oltretutto, che la conclusione di rinunciare all’autostrada per realizzare l’adeguamento dell’Aurelia agli standard di una superstrada europea, inventandosi il meccanismo farraginoso della traslazione onerosa della concessione ad Anas, non è stata il frutto di una decisione autonoma e ponderata. Ma il portato dell’impossibilità di trovare un punto di vista comune, e dell’impellenza di mettere a fuoco una soluzione alternativa all’autostrada, di compromesso, per non doversi trovare nella condizione di stringere un pugno di mosche. Cosa che poi si è verificata comunque.

 

La mancata ricucitura dei 170 km di mulattiera tra i monconi autostradali di Tarquinia, a sud, e di San Piero in Palazzi (Rosignano), a nord, è in altre parole la metafora della mancanza di ambizione della Maremma e delle sue classi dirigenti. Incapaci di osare e impigliate per decenni nella ragnatela tessuta dall'ambientalismo Nimby che inseguiva un modello di sviluppo velleitario, peraltro mai concretizzato. E dalla lobby capalbiese dei notabili romani. Ramificata nei partiti, negli enti locali, nei vari governi e nelle commissioni parlamentari.

 

Nel frattempo, non solo si sono perse occasioni d’oro per il turismo, l’agricoltura e il manifatturiero, sui quali il gap infrastrutturale pesa notoriamente come un macigno. Ma si sono già buttate a mare anche le occasioni dei mesi a venire. A partire dagli investimenti che saranno finanziati con le risorse del Piano nazionale di resilienza e rilancio (Pnrr), sostenuto dai soldi di Next Generation Eu.

 

Nessuno investirà in progetti significativi – dal forte impatto occupazionale - in provincia di Grosseto proprio in virtù del fatto che è un territorio logisticamente disconnesso dal resto del Paese. Non è un caso che in Maremma, al massimo, coi soldi nel Pnrr si faranno i ripascimenti delle spiagge, mentre sulla bio-raffineria Eni di Livorno si spenderanno 500 milioni di euro, e probabilmente su Piombino ancora di più.

 

Fossero almeno già iniziati i lavori di adeguamento dell’Aurelia, meglio ancora fosse stata realizzata a suo tempo l’autostrada tirrenica quando i soldi ancora c’erano, oggi avremo davanti altre prospettive. Ma oramai è andata e, inevitabilmente, ci siamo giocati anche l’ultima occasione di agganciare il nostro vagone al “frecciarossa” che sta per partire. Tutto per una discussione oziosa sulla sostenibilità o meno di realizzare un nastro d’asfalto largo 19-21 metri (strada di grande comunicazione) oppure 24 metri (autostrada a 4 corsie). Perché 3-4 metri di differenza sono stati considerati un attentato all’ambiente.

 

L’aspetto più bizzarro di questo esito nefasto per la provincia di Grosseto, ad ogni modo, è che fanfaronaggine e deficit cronico di visione hanno contagiato quasi tutti. Abbattendo i tradizionali steccati della politica e dell’associazionismo. Coi sindaci di destra, teoricamente pasdaran dello sviluppismo e della libertà totale d’impresa, a braccetto con quelli di sinistra, storicamente condizionati dall’ambientalismo più conservatore. Tutti ebbri di parole d’ordine altisonanti quanto vuote di contenuto che inneggiavano alla bellezza della Maremma. Tutti portatori sani di obsolescenza programmata.

 

Lo stesso tavolo unitario “Grosseto Sì, va avanti!”, costituito dalla Camera di commercio, è un’allegoria vivente d’inconcludenza politico-rappresentativo-istituzionale. Che fa del cerchiobottismo il proprio motivo d’esistere. Incapace d’incidere sulla realtà sia rispetto al Corridoio tirrenico che ad altre questioni dirimenti per lo sviluppo economico.

 

Mentre gli anni passavano, la bella Maremma è finita come la bella di Campiglia (che tutti la vogliono, nessuno la piglia). Un «buen retiro» estivo per Vip e masse sudaticce. Ma un deserto demografico afflitto da anemia economica, col più basso reddito lordo procapite della Toscana e caratterizzato da una fuga costante di lavoratori qualificati.


L’unico corridoio a oggi percorribile è quello che porta alla camera mortuaria dove l’economia maremmana aspetta la sepoltura. Anch’essa paradossalmente in ritardo. E non è una battuta.

Commenti

  1. Ciao, quando ero capogruppo del PDL (lo ricordo come mero dato di cronaca, non certo per rivendicare chissà quali meriti) in Consiglio Provinciale arrivammo unanimente a condividere l'ipotesi che avrebbe trovato il consenso anche dei Comuni di Capalbio ed Orbetello: poi arrivò il governo Monti ...

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  2. Buongiorno, come sempre un'analisi lucida, precisa ed oggettiva. Metto in evidenza un refuso: " mentre sulla bio-raffineria Eni di Livorno si spenderanno 500 miliardi di euro".

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