🩺🩺🩺 #tiromancino – Maremma e Amiata non sono attrattivi: a dirlo anche la cronica difficoltà a reperire medici
L’ultimo in ordine di tempo è il caso del week-end di fine luglio. Con la Usl Toscana Sud est impegnata a comunicare che in mancanza di medici disponibili su Grosseto, per domenica 1° agosto la guardia medica di riferimento sarebbe stata quella di Civitella Paganico.
Non sono solo i classici parametri economici – valore aggiunto, prodotto interno lordo e reddito pro capite più bassi della Toscana – a segnalare la difficoltà in cui versano la provincia di Grosseto e il suo capoluogo. Ci sono anche indicatori solo apparentemente meno significativi, ma in verità piuttosto espliciti, come quello di un’incapacità oramai cronicizzata a reperire medici con diversi profili professionali per occupare i posti vacanti. Che sono in crescita.
Mancano medici di medicina generale, non solo nelle aree marginali della provincia; pediatri di libera scelta; medici con specializzazione in emergenza/urgenza; neuropsichiatri; perfino giovani neolaureati che coprano i turni di guardia medica.
I primi segnali già erano emersi un paio di estati fa, quando vennero fuori le prime difficoltà a trovare personale sanitario per la guardia medica e per quella turistica. Poi le cose sono precipitate gradualmente ma inesorabilmente, coinvolgendo più specializzazioni. A partire da medici di medicina generale, rianimatori e medici di pronto soccorso.
Il sintomo della malattia – la scarsa attrattività – ha un doppio livello di manifestazione. Quello più ovvio è la difficoltà a trovare professionisti disponibili a trasferirsi in Maremma per coprire i posti vacanti. La subordinata è che spesso quando optano per questa zona, ci rimangono lo stretto indispensabile e appena possono si trasferiscono in destinazioni ritenute più appetibili.
Bisogna dire che non è solo un problema maremmano o della montagna amiatina. La mancanza di medici nei pronti soccorsi è un tema nazionale: in Toscana ne mancano almeno 500 nei vari ospedali della regione. Anche perché è un lavoro stressante e con molti rischi professionali.
Poi c’è il dato nazionale, esploso in tutta la propria drammaticità, della catastrofica programmazione del numero chiuso nelle diverse professioni sanitarie, non solo mediche quindi, che da almeno un decennio è chiaramente sballata. Col risultato che a fronte dei molti che vanno in pensione, non ci sono abbastanza laureati per sostituirli. Conseguenza, al di là degli errori di programmazione con il sottofinanziamento delle borse di studio, dell’approccio sbagliato e poco democratico basato sul numero chiuso nell’accesso alle professioni mediche. Per cui la selezione avviene a monte, quando si sceglie il tipo di facoltà, invece che a valle, fra più laureati che si “contendano” i posti disponibili in una competizione sulle competenze. Col risultato che chi vince il terno al lotto dell’ingresso in facoltà, ha il posto di lavoro assicurato, fino al paradosso attuale di poter sfogliare la margherita lasciando scoperti molti posti vacanti per assenza di concorrenza. Lasciando ampie fette di popolazione sprovvista dei servizi medici di base. Per non parlare del fatto che questo meccanismo favorisce i giovani più garantiti che hanno le spalle coperte economicamente, penalizzando chi ha condizioni familiari più problematiche.
A queste distorsioni di sistema, in una realtà come la nostra si aggiungono deficit peculiari. Essendo la provincia di Grosseto economicamente debole, con una struttura demografica in forte declino e molti piccoli centri in aree marginali e logisticamente disagevoli, questo territorio risulta per ciò stesso molto meno attrattivo di altre aree della Toscana.
Esemplificativo quel che è successo recentemente in una zona dell’interno, dove una pediatra maremmana ha preferito rinunciare a più ambulatori in paesi della montagna, con un migliaio di bambini, per trasferirsi a Lucca dove con un unico ambulatorio poteva seguirne 1500. Ma di casi simili ce ne sono anche per quanto riguarda i medici di medicina generale, che essendo pochi possono scegliere legittimamente la situazione che ritengono migliore.
Più o meno lo stesso avviene per i piccoli ospedali, poco attraenti professionalmente, dove è sempre più difficile coprire i ruoli vacanti nelle specialistiche. Il che dovrebbe far riflettere sull’accanimento a organizzare almeno una parte dei servizi sanitari secondo il vecchio modello – che risponde più a esigenze politiche che sanitarie – quando gli stessi utenti del servizio sanitario preferiscono rivolgersi a centri più grandi, in grado di offrire prestazioni più qualificate.
Infine, c’è un aspetto prettamente economico. La nostra provincia ha una minore capacità di spesa sanitaria per visite intra-moenia rispetto a quelle di Siena e Arezzo, che anche per questo motivo attraggono gli specialisti.
Ciò detto, le soluzioni da trovare sono tutt’altro che semplici. Incentivi economici e diversa organizzazione della rete dei servizi, ricorrendo sempre più alla telemedicina e migliorando gli standard dei trasporti sanitari, possono essere tessere di una strategia più grande. Così come eliminare il numero chiuso in ingresso alle facoltà delle professioni mediche, per introdurre meccanismi di selezione successivi.
Ma finché non si capirà che bisogna rendere più attrattivo il territorio per nuove attività economiche e quindi per nuovi residenti, riqualificando anche la rete dei trasporti per facilitare la mobilità delle persone, il declino economico e demografico che ci caratterizza da anni non farà che acuire i problemi di un sistema già claudicante. Perché è sempre più evidente che i deficit del nostro sistema dei servizi sanitari, sono in buona parte la conseguenza diretta della perdita di status socioeconomico dell’intero territorio. Tanto autocompiaciuto della retorica della Maremma paradiso ambientale, quanto succube di processi che non sa nemmeno provare a governare.
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