🧱🧱🧱 #tiromancino – Grosseto capitale toscana delle Rsa (case di riposo). La miopia di guardare ai vecchi solo come un business








Data per acquisita la logica di mercato come criterio guida della nostra società, non è scandaloso ci sia qualcuno che a Grosseto abbia da tempo pianificato il business delle case di riposo. Che da un po’ d’anni fa più fico chiamare residenze sociali assistite (Rsa). Piuttosto, è alquanto deprimente che chi governa si limiti a recepire certe proposte negli strumenti urbanistici, senza dare cenni visibili di elaborazione autonoma su come gestire in futuro (futuro molto prossimo) nel capoluogo, ma non solo, l’invecchiamento accelerato della popolazione. E che in parallelo nella goffa parodia di confronto fra idee che si svolge in rete sui social, quasi nessuno provi a ragionare sul tema strategico di quali risposte dare ad una delle emergenze già oggi più visibili e impellenti.

Opinione pubblica dormiente. Politica indolente. Mercato fulminante. Questa è la fotografia impietosa di quel che sta succedendo. Peccato che il rischio che tutti quanti corriamo è che certe scelte – o meglio, non scelte – si traducano entro pochissimi anni nella sanzione di una pericolosa dicotomia sociale: da una parte gli anziani e i vecchi, autosufficienti e non, garantiti dal benessere economico. Dall’altra tutto il resto della popolazione ultrasessantacinquenne. Ai primi sono destinate le moderne case di riposo o cittadelle in gestazione – quattro a Grosseto in via di aperura/realizzazione, oltre all’esistente – ai secondi la possibilità di arrangiarsi come meglio potranno. Con il sistema pubblico di presa in carico delle persone in età avanzata, autonome o meno, formalmente ancora universalistico ma nei fatti instradato a diventare un grande lazzaretto per chi non ha alternative. A fronte di una nicchia non piccolissima di chi ha i mezzi economici per garantirsi un’esistenza dignitosa, o agiata, nell’ultima parte della vita.

La conseguenza logica di un’incapacità di governo conclamata – a Grosseto come altrove – e di un deficit clamoroso d’analisi socioeconomica e di coraggio nell’elaborare soluzioni originali. O quantomeno innovative. Panorama desolante, cui fa da parziale alibi, ma solo parziale, l’immobilismo manifesto (ad oggi) del governo e della politica nazionale.

 

Lo stato delle cose

Già nel novembre 2016 il #tiromancino, alla sua terza uscita, paventava i rischi dell’inverso demografico fin d’allora evidente ma sottovalutato, prendendo in prestito la metafora bersaniana della “vacca distesa in Corso Carducci”. Che nessuno vedeva.

Cinque anni dopo è tutto molto più esplicito. La modifica strutturale del trend demografico e dell’abitudine culturale delle famiglie a farsi carico della cura dei propri vecchi e anziani, ha prodotto il boom delle Rsa (alias case di riposo) e del fenomeno del “badantato” selvaggio (disintermediato) che assedia le famiglie.

D’altra parte, siamo un Paese di vecchi, oramai è innegabile. Con Giaponesi e Tedeschi gl’Italiani sono uno dei popoli più attempati della terra. La Toscana è in Italia fra le regioni con l’incidenza più alta di over 65. La provincia di Grosseto è quella con la popolazione più vecchia in Toscana.

Tralasciando i motivi socioeconomici e politici di questo non invidiabile primato, oggi i fatti sono questi (dati del Sole24Ore - ndr).

Il 28,2 per cento dei residenti in provincia di Grosseto ha più di sessantacinque anni, e negli ultimi cinque anni questa fascia di residenti è aumentata del 2,79 per cento (entro il 2040 sarà circa il 33 per cento). Oggi gli under 10 sono appena il 7,4% della popolazione totale e negli ultimi cinque anni sono diminuiti del 13,25%: uno dei risultati peggiori d’Italia. I giovani dai 18 ai 35 anni che vivono in provincia sono il 16,3% del totale, con una diminuzione nel quinquennio del 2,77 per cento: anche stavolta una performance tra le peggiori nel Paese. Nelle tre classi d’età siamo i peggiori in Toscana.

Ma non finisce qui. Poi ci sono le relazioni statistiche tra le grandezze che fotografano le generazioni. In provincia di Grosseto gli under 10 sono diminuiti del 22 per cento rispetto a chi ha più di 80 anni. Chi ha fra 18 e 35 anni è diminuito del 42 per cento rispetto a chi ne ha più di 65 (per convenzione l’età da pensione). Chi è in età da pensione (over 65) è cresciuto del 116% rispetto a chi è in età lavorativa (15-64 anni).

Le conclusioni sono lapalissiane: siamo un territorio poco dinamico e molto orientato all’invecchiamento della popolazione residente; e senza gli stranieri saremmo alla tragedia demografica. Non butta per niente bene. Anche se in diversi continuano a pensare si viva in una specie di Eden.

 

Dove andare a parare
A fronte di tutto ciò, evidentemente, c’è chi pensa che far realizzare a Grosseto un bel po’ di Rsa (case di riposo) sia una risposta illuminata. Senza tenere oltretutto conto che concentrare nel capoluogo tante strutture residenziali, metterà in crisi quelle più piccole diffuse nei centri minori del territorio provinciale.

Ma il problema principale non è nemmeno questo. Quanto l’assenza totale di visione e la mancanza di strategie di diversificazione delle risposte, che diano in parallelo alle Rsa alternative socialmente ed economicamente sostenibili. Che offrano risposte alla grande maggioranza delle persone che non potranno accedere alle strutture residenziali per benestanti. Considerato che le quote sanitarie garantite dal sistema pubblico col meccanismo della “libera scelta” avranno un limite fisiologico.

Eppure modelli alternativi esisterebbero. E si chiamano “co-housing”, “edilizia sociale”, “urbanistica partecipata” e “progettazione universale”. Tutta roba che almeno chi per lavoro amministra le comunità dovrebbe conoscere a menadito. Dovrebbe, beninteso. Al condizionale. Tenendo conto del livello culturale medio.

Basterebbe girare un po’, o almeno leggere. Invece di soffiare sulla retorica del localismo sovranista, provinciale e autoreferenziale. Visto che le prime «cohouses» nascono in Danimarca all’inizio degli anni Ottanta e si diffondono in Australia, Canada, Stati Uniti e in Europa (Belgio, Germania, Gran Bretagna, Olanda e Svezia). Con molte realtà italiane in scia, a partire da Torino.

Si tratta di ottenere terreni ed edifici da recuperare a costi bassi, non di mercato, per avere un beneficio sociale diffuso. Cercando la partecipazione ai progetti degli enti locali, i quali potrebbero fornire  a prezzi agevolati spazi pubblici abbandonati e inutilizzati o, addirittura, in concessione gratuita.

Oppure di approvare strumenti urbanistici innovativi. Che prevedano premi volumetrici, abbattimento dei costi di costruzione, di conferimento delle macerie in discarica, degli oneri di urbanizzazione primari e secondari, per chi costruisce condomini “solidali”. Con, magari, un appartamento ogni cinque da destinare ad ospitare un “badante condominiale”, o comunque con formule di assistenza collettiva che garantiscano sorveglianza attiva e qualità della vita a nuclei familiari (tradizionali e non) e singoli che convivono con vecchiaia, non autosufficienza e disabilità. Perché, al di là delle chiacchiere da bar e della miopia politica, volenti o nolenti, questo sarà uno dei grandi problemi del futuro prossimo.

E invece, guarda che sfiga, qui da noi, nella provincia profonda, c’è chi pensa che l’obiettivo prioritario sia edificare a più non posso, in qualunque forma. Così il Comune incamera a go-go oneri di costruzione e di urbanizzazione. Poi c’è chi si chiede smarrito perché siamo in fondo a ogni graduatoria, compresa quella dell’innovazione sociale…….

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