🌻🌿🌱🌾🍇🍉🍊🥬🍅 #tiromancino – Presto l’agricoltura creerà in Maremma più ricchezza. Grazie a trasformazione dei prodotti e agricoltura di precisione







Ma se uno dovesse sperare in qualcosa di “luminoso” per il futuro economico della provincia di Grosseto, dove dovrebbe posare gli occhi? Rebus sic stantibus – a bocce ferme, considerato l’imminente ferragosto – sul bistrattato settore primario: ovverosia l’agricoltura. Quella roba lì, apparentemente obsolescente, ma in verità in questa fase dinamica come poche altre volte nella storia di questo territorio. Come successe in occasione delle bonifiche, poi della riforma agraria, e negli Anni 90, con l’ingresso massiccio della vitivinicoltura di qualità. Poi diventata standard diffuso.

 

Basta guardarsi intorno. Il boom dell’olivicoltura è un dato di fatto, evidente ad occhio nudo. I nuovi impianti superintensivi e specializzati, tradizionali e biologici, si stanno moltiplicando e ne beneficiano i prezzi dei terreni, arrivati a costi di acquisto variabili tra 22 e 30mila euro a ettaro. Oggi a essere censiti come coltivati ad olivo sono 17.700 ettari (150mila quintali di olive nell’ultima campagna olearia), ma il dato è già stato ampiamente superato e crescerà ancora nei prossimi mesi. Con all’opera investitori di taglia grande, media e piccola – da ArteOlio (500 ettari a superintensivo) a Monini e Frescobaldi, per dirne alcuni – che puntano sia sull’Igp Toscano che sulla produzione di olio extra vergine di oliva italiano. Non meno significativo il comparto vitivinicolo maremmano – terzo in Toscana per superfici coltivate coi suoi 8.530 ettari di vigne e una produzione nel 2020 di 321mila quintali di vino (+5,2 per cento). Con la recente Doc Maremma che ogni anno cresce a doppia cifra ed occupa già il 7° posto in regione per vino imbottigliato. Ma che – come ha detto il presidente del Consorzio di tutela Francesco Mazzei - ambisce ad arrivare fra le prime tre Doc della Toscana, con almeno dieci milioni di bottiglie. Partendo dai successi del Vermentino, ma non fermandosi lì.

 

La cerealicoltura è uno dei comparti storici di Maremma e Amiata. 3.770 ettari

coltivati a frumento tenero (100mila quintali) e altri 14.600 a frumento duro (500mila quintali) ne fanno un piccolo granaio. Ma anche qui le cose si stanno muovendo sottotraccia con l’obiettivo di valorizzare il grano attraverso la sua trasformazione. A ottobre dovrebbe entrare in funzione il molino che un consorzio d’imprenditori privati sta realizzando a Braccagni, negli spazi della cooperativa agricola Vallebruna. L’obiettivo è valorizzare con un progetto integrato di filiera (Pif, ndr) i grani antichi e quelli autoctoni, per produrre una pasta made in Maremma che in futuro sia fatta in un pastificio realizzato in loco. Cosa che sta facendo anche la cooperativa Terre dell’Etruria, puntando sulla Pasta Tosca, prodotta con grani delle province di Grosseto, Siena e Livorno coltivati secondo le regole dell’agricoltura integrata.

 

Poi ci sono realtà come Sfera Agricola, che con 13 ettari di serre è il più grosso produttore italiano di colture orticole con la tecnica dell’agricoltura idroponica. Mentre è già in rampa di lancio una start up che ha investito nella realizzazione di una «vertical farm» (fattoria verticale, ndr), sempre basata sull’agricoltura idroponica.

Anche le nuove colture stanno guadagnando spazi significativi. Con i noccioleti che grazie a un altro Piano integrato di filiera e a contratti di coltivazione promossi dal gruppo altoatesino Loacker hanno già coperto 470 ettari nelle zone collinari del sud della provincia, e una produzione di 3.500 quintali di nocciole. Mentre entro i prossimi tre anni, tra Castiglione della Pescaia e Civitella Paganico (Aratrice), grazie all’iniziativa della Forever Bambù entreranno in produzione 130 ettari di bambù gigante per coltivare germogli per uso alimentare e biomasse legnose destinate a diversi utilizzi industriali. Senza dimenticare le produzioni più tradizionali come il girasole (3.300 ettari per 58mila quintali di prodotto), il pomodoro da industria (1.480 ettari e 750mila quintali) o la fava da granella, i baccelli (5.000 ettari per 100mila quintali).

 

Ad essere indietro rispetto alle potenzialità del territorio, nonostante nicchie di qualità significative come i carciofi, il cavolo o gli asparagi, sono in generale le colture ortofrutticole. Che però potrebbero avere un’impennata nei prossimi anni, in seguito alla conclusione degli importanti investimenti nell’irrigazione collettiva che sta portando avanti il Consorzio di bonifica 6 Toscana sud. Che garantiranno la distribuzione più efficiente dell’acqua su diverse migliaia di ettari di terreni coltivabili. Consentendo di sfruttare al meglio le tecniche dell’agricoltura di precisione.

Insomma, c’è molta carne al fuoco. E l’obiettivo è di fare in molti altri comparti il salto di qualità attraverso l’organizzazione delle filiere con gli anelli della trasformazione dei prodotti agricoli e della loro distribuzione. Come già è stato fatto con oleifici, cantine, caseifici e salumifici. Ad esempio, cosa ha appena fatto il Salumificio Subissati di Roccastrada, che con un investimento superiore ai quattro milioni di euro ha realizzato un impianto di lavorazione di carni suine che gli consente di esportare il grosso della produzione in Germania, Danimarca, Svezia, Belgio, Lussemburgo, Inghilterra, Lituania e Olanda.

 

Che il futuro sia nell’integrazione tra agricoltura e manifatturiero di trasformazione, lo dimostrano i numeri dell’export. Anche se la provincia di Grosseto è pochissimo orientata al commercio con l’estero (una delle cause della sua debolezza economica). Lo scorso anno dei 340,7 milioni di beni esportati il 47,4 per cento – 161,6 milioni – era riconducibile al comparto agroalimentare. Con una crescita del +6,1 per cento sul 2019, nonostante la pandemia.

Il problema vero è quello di migliorare le performance del valore aggiunto (a prezzi costanti), perché l’agricoltura è uno dei settori a più bassa produttività per addetto. In conseguenza del fatto che è un settore ad alta intensità di lavoro (numero di addetti) e a scarsa penetrazione dell’innovazione tecnologica. Tuttavia, nonostante questo gap, e i problemi legati agli andamenti climatici e a quelli dei prezzi, nel 2020 il settore primario ha contribuito al valore aggiunto provinciale per il 7,2 per cento, il triplo dell’incidenza che ha in media sull’economia toscana e italiana. Pur avendo registrato una perdita del 7,7 per cento rispetto al 2019. Con una previsione di perdere ancora l’1,6 quest’anno.

Lo slogan dell’Expò di Milano era “nutrire il pianeta”. Non è detto che l’agricoltura maremmana non abbia qualcosa da dire in proposito, per il futuro.




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