🤺🤺🤺 #LaZetadiZorro/ La Cgil aveva ragione. Sullo sciopero ma non solo. Su tutta la linea
Tema: ma la Cgil c'è, o ci fa? Svolgimento: la Cgil ha avuto ragione da vendere a proclamare lo sciopero generale insieme alla Uil.
Giocando sull’equivoco dialettico, i soliti benpensanti hanno sostenuto che quello del 16 dicembre scorso è stato uno sciopero politico che ha radicalizzato lo scontro sociale. Come se politico fosse un aggettivo disdicevole, e autorizzati ad alimentare lo scontro sociale fossero per statuto legittimati solo quelli che vogliono tutelare i redditi più alti. A scapito della grande maggioranza degli Italiani con redditi più bassi.
Quello che era successo con il contributo di solidarietà sui redditi superiori ai 75mila euro per attutire l'impatto dell'aumento del costo del gas per riscaldamento, peraltro, era stato un segnale chiarissimo. A pagare l'aumento dell'inflazione, presente e futura, sui beni di consumo primari, può essere tranquillamente la grande platea di coloro che hanno entrate medio basse - lavoratori dipendenti, atipici, precari, lavoratori autonomi a basso reddito, la gran parte dei pensionati - oppure quelli che stanno sotto la soglia di povertà. In questo caso, invece, sempre secondo i ben pensanti, coloro che politicamente vogliono tutelare la quota di popolazione più benestante a discapito della grande maggioranza, sono naturalmente legittimati ad inasprire lo scontro sociale. Nessuno scrupolo in proposito.
Ma tutto questo sarebbe, per così dire, un ragionamento speculativo, voluttuario. Se non fosse che la Cgil, e con lei la Uil, aveva perfettamente ragione anche sull'impatto degli sgravi fiscali rispetto ai redditi degli Italiani. Il sindacato rosso, infatti, facendo i calcoli rispetto ad aliquote, fasce di reddito e detrazioni varie contenute nella manovra, aveva denunciato che a guadagnarci di più sarebbero stati i redditi di fascia medio alta. Tradendo così l'obiettivo della redistribuzione in favore delle fasce di reddito più basse, enunciato dal governo e ribadito dallo stesso presidente del consiglio Mario Draghi.
A confermare che la Cgil aveva ragione, oggi, arrivano le conclusioni dello studio dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Lo riporta, fra gli altri, nientepopodimeno che Il Sole 24 Ore, noto covo di bolscevichi. «Di fatto, sottolinea lo studio, i dirigenti avranno una riduzione delle imposte di 368 euro, oltre il doppio, in termini assoluti, di quella media degli operai, pari a 162 euro, mentre gli impiegati avranno un taglio delle imposte di 266 euro. Lo studio analizza l’impatto della riforma anche guardando non ai singoli contribuenti ma al nucleo familiare chiarendo che il 20% delle famiglie più povere è “sostanzialmente escluso” dai benefici per effetto dell’incapienza fiscale. In pratica il 50% dei nuclei in condizione economica meno favorevole “beneficia di circa un quarto delle risorse complessive (circa 1,9 miliardi), mentre il 10% più ricco beneficia di più di un quinto delle risorse (1,6 miliardi)”. Il 20% delle famiglie in condizione economica meno favorevole è di fatto escluso dall’ambito di applicazione dell’Irpef a causa dell’elevato livello dei redditi minimi imponibili e quindi non è coinvolto dalla revisione dell’Irpef».
Ora, il problema non è tanto rivendicare di aver avuto ragione. Il problema è, come si diceva una volta, politico. E riguarda prevalentemente i partiti del Centrosinistra – Partito democratico in primis – anche se non solo quelli.
Perché se l’obiettivo politico è avere la maggioranza della “società dei due terzi” – definizione del sociologo tedesco Peter Glotz (anni Ottanta) – allora l’andazzo attuale va proseguito. Chi se ne frega del terzo d’Italiani che, non solo per livello retributivo, sono fuori dall’area del privilegio. Da difendere con le unghie e coi denti. L’importante è avere la maggioranza politica all'interno dei due terzi. Oltretutto, è sempre più semplice perché oramai vota dal 40 al 50% degli aventi diritto.
Occhio però. Per chi si definisce di sinistra, ci sarebbero motivi etici e ideali per non arrendersi alla visione economico-politica mainstream.
Ma lasciamo pure stare l’etica, e ragioniamo di bieca convenienza.
Tutti sicuri che stare nei “due terzi” sia così sicuro? Che scivolare nel terzo dei marginali sia un rischio così remoto? Tutti sicuri che non ci siano possibilità concrete di ritrovarsi velocemente dalla società dei “due terzi” a quella dei “tre quinti” o dei “quattro settimi”? Con una contrazione dell’area dei garantiti, e un incremento parallelo delle diseguaglianze (non solo economiche)?
Ad esempio. Nel 2022 l’inflazione galoppante traslerà tanta gente nel terzo più sfigato della popolazione. L’aumento dei costi di gas, energia elettrica e generi alimentari farà la differenza. Come già da tempo fa la differenza il digital divide. O la povertà educativa. Non bisogna essere economisti per capirlo.
Ecco, lo sciopero proclamato da Cgil e Uil parlava di questa roba qui. E riguarda anche parecchi di quelli che in occasione dello sciopero hanno fatto gli ironici. Magari diversi dei quali hanno sempre disprezzato le tasse, e poi per i casi della vita si sono ritrovati a chiedere ristori, compensazioni, ammortizzatori sociali…… finanziati coi soldi pubblici….. che arrivano dalle tasse. Che guarda un po’, con la legge di bilancio, sono state ridotte più a chi le può sostenere che a chi ne ha bisogno.
Concludendo. La Cgil aveva ragione a denunciare la finanziarizzazione dell’economia a discapito del lavoro, e poi nel 2008 è arrivata la crisi dei mutui sub prime.
La Cigl aveva ragione a dire che la soluzione non erano né il populismo né il rigore finanziario neoliberista, e poi è arrivato il crollo del 2011 regalatoci da quel galantuomo di Berlusconi.
La Cgil aveva ragione a dire che la soluzione alla crisi dei debiti sovrani non era la precarizzazione del mondo del lavoro, e poi è arrivato il colpo di genio renziano del job-act che l’ha legittimata. Stabilendo il canone aureo dei lavori sottopagati a tempo determinato.
La Cgil ha sostenuto sin dall’inizio che andava rivisto il Patto di stabilità, e di fronte alla pandemia Bruxelles e Bce (Mario Draghi) ne hanno dovuto prendere atto. Sospendendolo, avviando il Piano di acquisti del debito pubblico e introducendo il Next Generation Eu, da cui è nato il Pnrr.
La Cgil ha sempre appoggiato i movimenti ambientalisti, dai No-Global del G8 di Genova ai Fridays for future di Greta Thumberg, e poi è deflagrata la crisi climatica.
La Cgil ha detto da subito che bisognava introdurre l’obbligo vaccinale per bloccare il Coronavirus, e dopo due anni siamo arrivati all’escamotage (un po' patetico) del Super Green-pass per tutti i luoghi di lavoro.
La Cgil ha sempre sostenuto che il nemico non erano i migranti e che il sovranismo era un riflesso condizionato puerile. Dopodiché, pochi giorni fa, è arrivato il nuovo decreto flussi per 70.000 lavoratori stranieri su pressante richiesta del mondo dell'industria e dell'agricoltura. Al quale ne seguirà un altro all'inizio del 2022.
Forse, dunque, è appena il caso che gli scienziati che si esercitano nel dileggiare la Cgil, comincino a prendere atto del fatto che non ci hanno capito una sega. E che hanno avuto torto marcio su tutta la linea. Perché la questione è politica. Molto politica.
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