🧶🧶🧶 #tiromancino – Cannabis terapeutica o polo per la protezione civile per il futuro del Ce.Mi.Vet. sulla Castiglionese (Centro militare veterinario)










È arrivato il momento di pensare seriamente a un nuovo ruolo per il Centro militare veterinario - conosciuto come Ce.Mi.Vet. - che si trova sulla strada Castiglionese, alle porte del capoluogo.

I cinquecentosettanta ettari che dal 1870 vedono la presenza dell'esercito italiano sono un patrimonio pubblico oggi decisamente sottoutilizzato. E questo è sinceramente uno spreco inaccettabile. Sono oramai anni, infatti, che il centro militare veterinario sta perdendo progressivamente ruolo e rilevanza, anche se ancora ci lavorano circa 200 persone, tra militari e personale civile.

Il definitivo colpo di grazia è arrivato con la decisione del Ministero della difesa di trasferire a Montelibretti, nel Lazio, in un altro polo dell'esercito, i cavalli adulti destinati alla doma e quindi ai diversi utilizzi che ne fanno i militari per fini di rappresentanza o sportivi.

Oggi al Ce.Mi.Vet, di fatto, rimane la scuola di addestramento dei cani che individuano esplosivi, il centro di formazione dei veterinari militari, stalloni e fattrici destinati alla riproduzione, i puledri fino a tre anni di età. Decisamente un po’ poco per giustificare una struttura di quelle dimensioni, con decine di migliaia di metri cubi di edifici su 570 ettari di terreni.

 

Bisogna quindi mettere le mani su questa vicenda. Prima che si arrivi a un esito già visto in tanti altri casi simili. Col progressivo svuotamento di funzioni del centro che si trascina per anni, il pensionamento anticipato di una parte del personale e infine lo stato di abbandono. Cui puntualmente segue la decisione di svendere il bene pubblico a qualche privato, che così si trova a chiudere l'affare della vita. Non è difficile immaginare, ad esempio, che un'area come quella in questione, fra qualche anno possa entrare nelle mire di un fondo immobiliare interessato a realizzare residenze di lusso. O di qualche grande organizzazione turistica, per realizzarci un bel villaggio vacanze. Magari puntando in termini di marketing sul fatto che quei terreni prima del 1870 erano parte della tenuta di caccia dei Lorena.

Volere bene al Ce.Mi.Vet, quindi, significa prendere subito il toro per le corna. Prima che sia troppo tardi. A proposito di ex compendi militari, tanto per essere chiari, basti guardare nella nostra realtà alla fine ingloriosa che hanno fatto l'ex area logistica dell’aeroporto Baccarini, sulla strada delle Collacchie, e l'ex caserma Barbetti, sulla via Senese. Nonostante dal 2016 sia stato firmato con il Ministero della difesa un protocollo d'intesa per la loro valorizzazione, infatti, ad oggi sono proprietà dello Stato abbandonate a sé stesse.



Tornando ai destini dei terreni e degli edifici lungo la Castiglionese, negli anni passati sono state fatte due proposte che hanno un senso. E sulle quali merita ritornare. La prima riguardava la possibilità di realizzare un polo regionale, o nazionale, per la formazione e l'addestramento del personale della Protezione civile. La seconda, invece, prevedeva l’ipotesi di utilizzare i terreni per coltivare la cannabis terapeutica, e almeno una parte degli edifici per ospitare i laboratori di preparazione dei medicinali a base di cannabinoidi. A partire dal 2016, infatti, in Italia è possibile coltivare la canapa per usi medici.

Quest'ultima ipotesi, soprattutto, avrebbe la possibilità immediata di dare una prospettiva diversa di utilizzo delle centinaia di ettari oggi coltivati per produrre semplici foraggi, una parte dei quali, oltretutto, dati in gestione a terzi. Oggi, peraltro, nel nostro Paese l'unico soggetto autorizzato a coltivare e trasformare in prodotti farmaceutici la cannabis terapeutica è l'Istituto chimico farmaceutico militare di Firenze. Che però nel 2020 è riuscito a coltivare e trasformare appena 250 kg di prodotto, a fronte di un fabbisogno interno per i pazienti italiani che varia dalle 2.000 alle 3.000 tonnellate all'anno. Cosa che costringe lo Stato italiano ad importare la canapa da Olanda e Canada, naturalmente a prezzi di mercato. Un business legale che Paesi più svegli e molto meno bigotti del nostro hanno deciso di cogliere al volo. Addirittura, dal giugno di quest'anno, la Repubblica di San Marino ha legalizzato la coltivazione della canapa e si è proposta come fornitore di materia prima e prodotti farmaceutici al nostro Ministero della salute. Notizia riportata a metà dello scorso novembre dal settimanale l'Espresso.

Stando così le cose, è evidente che il Ce.Mi.Vet. avrebbe tutte le carte in regola per essere riconvertito in tempi brevi in un polo di coltivazione della canapa, con laboratori farmaceutici per la preparazione di medicinali. Oltretutto mantenendo la presenza dei militari, affiancando le attività già esistenti senza generare conflitti.

 

A ben guardare, inoltre, la presenza delle residuali attività gestite dall'esercito italiano non sarebbe in conflitto nemmeno con la destinazione del Ce.Mi.Vet ad accogliere un centro regionale o nazionale per la formazione e l'addestramento del personale di protezione civile. La presenza di un vasto patrimonio edilizio e la disponibilità di centinaia di ettari, infatti, consentirebbe di tenere in vita le attività già esistenti, come l'addestramento dei cani per individuare gli esplosivi, e allo stesso tempo organizzare un campus gestito dalla Protezione civile. Dove, solo per fare qualche esempio, potrebbe essere insegnato come montare ospedali da campo e affini, svolgere esercitazioni con mezzi speciali simulando disastri naturali, addestrare le squadre di protezione civile per i diversi tipi di intervento.

 

Naturalmente queste sono solo un paio di ipotesi, fra le diverse che si potrebbero fare per dare nuove funzioni produttive al centro militare veterinario. Senza pretesa alcuna che siano esaustive. Rimane tuttavia l'urgenza di attivare un dibattito pubblico sulla destinazione futura di quei luoghi, per scongiurare il prevedibile loro abbandono e deperimento. Un film dal finale scontato.






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