👨‍👩‍👧‍👦👩‍👩‍👦👨‍👨‍👧‍👦👩‍👦👨‍👧‍👦 #tiromancino – Da 5 a 14mila abitanti in meno entro il 2025 per la provincia di Grosseto


«Da stime elaborate da questo Centro studi - che prevedono due diversi scenari denominati “base” e “pessimistico” – al 2025 la popolazione grossetana passerebbe dalle attuali 218mila unità a 213mila nel primo caso, e a 204mila nel secondo. Tutto ciò è ipotizzato senza che intervengano variazioni rilevanti e perduranti in alcuni fenomeni demografici, al momento tanto imprevedibili quanto soprattutto difficilmente possibili. Quali, ad esempio, un improvviso, duraturo e consistente aumento delle nascite o un forte incremento dei flussi migratori in entrata».

Leggere i report demografici dell'ufficio studi della Camera di commercio di Grosseto e Livorno è da qualche anno a questa parte un esercizio tanto “deprimente”, quanto necessario. Almeno per chi abbia a cuore le sorti di questo territorio. Sia interessato all'analisi della realtà per quello che è, e non abbia paraocchi ideologici.

Il virgolettato riportato è la conclusione cui il centro studi arriva analizzando gli esiti sullo stock di popolazione residente alla fine del 2020. Alla quale si affianca un'altra considerazione, francamente condivisibile per quanto poco rassicurante: «nel futuro prossimo il numero di residenti sul territorio non potrà che diminuire ulteriormente, dato che le dinamiche demografiche manifestano i loro effetti in maniera estremamente lenta quanto inesorabile: politiche o azioni indirizzate ad attenuarle o addirittura a modificarle sono di complessa attuazione ed i loro risultati, se misurabili, si manifestano anni dopo la loro messa in atto».

Per circostanziare la questione, basta prendere atto del fatto che Il tasso di natalità maremmano nel 2020 è leggermente migliorato (5,47‰), ma resta il più basso in Toscana. Con 1.199 bambini nati a fronte di 3.059 persone decedute (tasso di mortalità al 13,96‰). Non compensate dai nuovi residenti, con l’immigrazione straniera che diminuisce del 2,2% sul 2019.



Si dirà che non è una novità. Ma il problema è un altro. Il problema è che non è una novità nemmeno il fatto che nel dibattito politico e in quello pubblico il tema della reazione al fenomeno non è minimamente preso in considerazione. Perché invertire una tendenza di questa natura non può essere un auspicio generico, affidato al caso, ma richiede scelte politiche drastiche. E soprattutto tempestive. Considerato che - come opportunamente sottolinea il rapporto - gli effetti si vedranno comunque a distanza di anni.

L'atteggiamento passivo, o meglio, il disinteresse per l'argomento, è la notizia peggiore. La cartina al tornasole della latitanza di gruppi dirigenti consapevoli e lungimiranti. Che abbiano fegato e visione per compiere scelte di rottura. Anche questo, obiettivamente, purtroppo, un dato tutt'altro che nuovo.

Da dove bisognerebbe cominciare, allora? Fermo restando che una parte consistente delle politiche di contrasto al declino demografico sono di competenza nazionale?


La cosa più ovvia, e volendo la più incisiva da fare, è agire immediatamente sul fronte dell'inclusione reale degli immigrati. Perché nel futuro prossimo, almeno per i lavori a bassa qualifica - ma non solo quelli oramai - il serbatoio di nuovi residenti e lavoratori sarà proprio costituito dagli immigrati e dai loro figli che frequentano le nostre scuole. “Nostre” inteso nel senso di scuole che operano sul nostro territorio, quindi anche “loro”.

I 21.739 stranieri residenti in provincia di Grosseto al 31.12.2020 costituiscono il 9,95% della popolazione residente. Con un’incidenza più alta delle classi di popolazione più giovane rispetto alla media dei residenti italiani.


La prima cosa sulla quale mettere le mani, quindi, riguarda le politiche abitative. Il problema dei problemi, infatti, è garantire un’abitazione a chi non ha né le condizioni economiche, né quelle culturali, per affittare o comprare una casa sul mercato. Senza questa precondizione, la gran parte degli immigrati continuerà a vivere una condizione di precarietà e instabilità, che non ne consente l'effettiva inclusione sociale né l’adeguamento ai nostri standard comportamentali. Di conseguenza la possibilità di costruirsi una vita familiare e di relazioni sociali, a loro volta determinanti per accedere al lavoro e alla rete della formazione professionale.

Naturalmente l’accesso all’abitazione è un elemento critico anche per una fetta dei giovani di nazionalità italiana. Soprattutto i cosiddetti Neet - not in education, employement and training (che non studiano, non lavorano né si formano professionalmente). Ennesimo problema che va affrontato con altrettanta determinazione, in parallelo a quello degli stranieri. Rifiutando la contrapposizione fittizia tra gli uni e gli altri, con il pretesto della scarsità delle risorse.


Partire dal problema della casa e della residenza, in questa cornice demografica deprimente, è quindi la priorità assoluta. Alla quale si possono dare soluzioni differenziate e incentivanti quanto a premialità per chi dimostra di avere voglia di emanciparsi. Evitando un approccio semplicemente assistenziale, che alla fine dei conti non garantirebbe inclusione, ma alimenterebbe parassitismo e marginalità.


In parallelo occorre mettere le mani in modo deciso sul sistema di presa in carico e orientamento degli immigrati, senza attendere modifiche legislative nazionali. Perché troppo spesso gl’immigrati, dopo anni di permanenza nei Cas, e anche dopo che ne sono usciti, rimangono completamente estranei alle nostre comunità. Sprovvisti delle competenze per capire come funzionano le cose in questo Paese. 


Ragionamento che vale anche per quanto riguarda la recente riapertura dei flussi di immigrazione regolare, per 70.000 persone, motivata – come ha spiegato il presidente del Consiglio Draghi - dalla pressante richiesta del settore industriale nazionale. Che non riesce a trovare addetti da assumere.


Un terzo ambito nel quale a livello locale si potrebbe fare molto, è quello dell'inclusione scolastica sia degli immigrati, che dei loro figli. L'educazione degli adulti che sono ospiti dei Cas deve diventare una priorità del sistema, con l'obbligo di frequenza dei corsi di italiano 5 giorni alla settimana per diverse ore. Perché la conoscenza della lingua è un'altra delle precondizioni dell'integrazione.

Molto può essere fatto anche per i ragazzini e le ragazzine che frequentano la scuola dell'obbligo. Organizzando corsi pomeridiani di recupero e approfondimento per quelli che hanno più difficoltà a causa di situazioni familiari disagiate, o problemi di origine prettamente culturale. Ma anche finanziando borse di studio specifiche, tenendo conto anche del peso delle diverse nazionalità ed etnie come è già stato fatto negli Stati Uniti proprio per contrastare le diseguaglianze raziali ed economiche.

I giovani figli degli immigrati, da questo punto di vista, costituiscono un patrimonio prezioso che va salvaguardato ad ogni costo. Non solo perché oramai questa fascia di popolazione costituisce una quota all’incirca del 12% degli studenti che frequentano le scuole della provincia. Ma anche in una prospettiva di prevenzione dei fenomeni di alienazione delle seconde generazioni, che in altri Paesi europei ha già manifestato i suoi effetti deleteri su convivenza sociale e l'integrazione.


Considerato l’andamento della curva demografica, è evidente che la provincia di Grosseto minaccia seriamente di diventare un cronicario diffuso nell'arco di pochi anni. Nella migliore delle ipotesi un buen retiro per attempati benestanti. Bisognerebbe prenderne atto una volta per tutte, e trarne le conclusioni più opportune.

Continuare ad alimentare la retorica dell'invasione, e allo stesso tempo perpetrare l'immobilismo, non risolverà le cose. Né porterà migliori risultati il benaltrismo di chi continua ad auspicare politiche di sostegno agli “Italiani”, in un anacronistico e improponibile regime di apartheid. Perseverando nell'atteggiamento irresponsabile di non fare nulla né per gli uni né per gli altri. Ma, soprattutto, continuando, per tornaconto politico, a far finta d’ignorare che le cosiddette “strategie riproduttive” di una fetta sempre più ampia d’Italiani, si basano su un'idea di famiglia e di società completamente diverse rispetto alla visione tradizionale.


In definitiva, quelli che ancora qualcuno continua a considerare semplicemente degli stranieri presenti sul territorio in via transitoria, già oggi sono concittadini – con la cittadinanza o meno - che contribuiscono stabilmente al benessere delle nostre comunità. E i loro destini sono anche i nostri. Volenti o nolenti: “simul stabunt, simul cadent”.



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