⏰⏰⏰ #tiromancino – I cambiamenti climatici se ne catafottono delle spese militari

 


Bisognerebbe non farsi distrarre, diciamo così. Nonostante le cose atroci che succedono in Ucraina, la scelta “emotiva” di incrementare la spesa per armamenti non ha alcun senso.

Non si tratta d’essere pacifisti o meno. Ma di semplice razionalità. Già oggi la Nato è largamente preponderante in termini di forza militare rispetto a quel delinquente di Putin. Non fosse altro per il fatto che, dal 2015 a oggi, dopo l'annessione di Donbass e Crimea, l’Alleanza atlantica ha investito 5.900 miliardi di euro in armamenti a fronte dei 414 della Russia. Cosa che non ha impedito l'invasione dell’Ucraina da parte di un “paesetto” con il prodotto interno lordo di appena 1.515 miliardi di euro nel 2021 (l’Italia è a 1.781).


Molto banalmente, è piuttosto ottuso spendere in nuovi armamenti, rinunciando a investimenti molto più utili, dal momento che nessuno può usarli perché si teme il ricorso alle armi nucleari. Che disintegrerebbero tutti: “buoni e cattivi”. Putin - e quelli come lui – vincono (momentaneamente) non perché sono più forti sul piano militare, ma perché sono disposti a usare le armi in modo che sarebbe inaccettabile per una Democrazia moderna. Motivo per cui se la Russia, auspicabilmente, si libererà di questo autocrate da quattro soldi e della sua corte dei miracoli di oligarchi, lo farà per motivi economici perché costretta dalle sanzioni. No di certo per una sconfitta militare sul campo. Per questo, è bene ribadirlo, la corsa agli armamenti che tutti stanno facendo in Italia, e in Europa, con grandissima superficialità, è perfettamente inutile e funzionale solo agli interessi dell’industria bellica.

Anche il legittimo tema del rafforzamento della Nato è posto in maniera troppo superficiale. Il problema vero, infatti, riguarda la leadership politica dell'Alleanza atlantica, oggi decisamente troppo condizionata dagli interessi statunitensi. È evidente che questo avviene perché gli Usa finanziano la Nato con il 3,7% del loro Pil, mentre diversi Paesi europei si fermano al 2% o a poco più dell’1%, come l’Italia. Ma sarebbe suicida aumentare la spesa militare dei singoli Stati per lasciare agli Americani mano libera sugli indirizzi politici. Per altro, forse, la sicurezza non si raggiunge solo con mezzi militari e all'Italia dovrebbe interessare più il versante sud dell'Europa, rispetto a quanto succede su quello a est. Per questo andrebbe posto il problema in modo serio.

 

Ascoltare la terra

Bisognerebbe invece guardare la terra. In questo caso quella che abbiamo sotto i piedi. Non l'orbe terracqueo. Anche qui da noi, in Maremma. Dove la terra proprio in questi giorni ci sta dicendo un sacco di cose piuttosto significative.

Ad esempio, che i terreni sono arsi, crettati e duri come l'asfalto, e l'agricoltura è in grande difficoltà. Non piove da tre mesi e tutte le colture sono in grave sofferenza per la mancanza d'acqua. I fiumi sono in secca, con portate paragonabili a quelle di agosto. In più zone della provincia, inoltre, l'ingressione del cuneo salino generata dall'abbassamento delle falde freatiche si è spinta molto all'interno della linea di costa, penetrando per molti chilometri e raggiungendo ampie zone vocate alle colture agricole. Così come in evidente e crescente sofferenza, per lo stesso motivo, si trova la fascia pinetata costiera, da nord a sud. Anche in un territorio dal clima notoriamente arido come il nostro, quindi, le cose stanno prendendo una brutta piega. Non da ora. 

I cambiamenti del clima, è lapalissiano, se ne catafottono di Putin (direbbe il commissario Montalbano), della Nato e degli equilibri geopolitici in generale. Peccato però che l'evoluzione del clima sia di gran lunga più importante per i destini dell'umanità, e quindi nel piccolo anche della Maremma. Che, per dirne una, avrebbe bisogno di investimenti immediati nella realizzazione di invasi idrici di piccole e grandi dimensioni per contrastare l'inaridimento progressivo che la assedia. E che, per dirne un'altra, minaccia le pinete costiere senza le quali il nostro turismo balneare perderebbe uno dei suoi elementi più forti di attrattività.

Ecco perché bisognerebbe andarci cauti sull’unanimismo imperante rispetto all'aumento delle spese militari, che sono del tutto ininfluenti rispetto alla nostra qualità di vita, e soprattutto ai rischi enormi cui siamo esposti.


La bomba welfare

Buttare via i soldi in caccia bombardieri, carri armati e cannoni, inoltre, sottrarrà risorse alle politiche di welfare. Che incidono in modo particolare sulle nostre esistenze. Tipo quelle che andrebbero destinate alla qualificazione dei servizi sanitari pubblici, dei quali siamo sempre pronti a lamentarci nonostante siano fra i migliori al mondo. O ad asili nido e scuole materne, per la cui mancanza a sostegno di famiglie stremate che hanno rinunciato a fare figli ci indignamo a cadenza periodica.

Ancora. Siamo sicuri che spendere un bel gruzzolo di miliardi in armamenti sia una scelta lungimirante rispetto a investire nell'assistenza ad anziani, persone disabili e con patologie psichiatriche, oppure nelle politiche di formazione e riqualificazione professionale per chi perde il lavoro? Piuttosto che nell'edilizia pubblica per garantire a tutti il diritto all'abitazione?

Anche perché il welfare non è un concetto astratto e impalpabile, ma un presidio di civiltà che si concretizza in interventi che richiedono risorse pubbliche.

Nel distretto sociosanitario dell’area grossetana/amiatina/Colline metallifere governato dalla Società della salute – ad esempio - la spesa media pro capite dei Comuni per i servizi sociali dovrebbe essere di 46 euro, ma non tutti raggiungono quella soglia. Per il principio dei vasi comunicanti, non è difficile prevedere che un aumento della spesa militare si tradurrà in una riduzione di quella per il welfare di provenienza statale e regionale, che non potrà essere compensata dalla tassazione locale. Dopodiché, quelle versate saranno solo lacrime di coccodrillo.

 

Missili sulla crisi energetica?

Infine, sempre sulla stessa falsariga. I cambiamenti climatici, che ci minacciano in tempi relativamente brevi, richiedono l'abbandono dei combustibili fossili. Fino all'invasione dell'Ucraina questo sembrava un obiettivo almeno condiviso. Dal giorno successivo all'ingresso delle truppe russe nel disgraziato Paese dell'Europa dell'est, in ogni settore e comparto produttivo è iniziata la gara a chiedere il rinvio delle misure per contrastare il “global warning”, per affrontare la transizione ecologica e arrivare alla decarbonizzazione. 

Questo obiettivo sacrosanto, in teoria, avrebbe dovuto guadagnare un maggiore consenso proprio in seguito alla plateale dipendenza della nostra economia da gas e petrolio russi. E invece tutto si è tradotto in un banalissimo “compriamo più armi per la Nato”. Sottraendo ulteriori risorse, fra le altre cose, alla ricerca vitale sulla produzione energetica da fonti alternative e pulite. Che qualche astuto stratega ha pensato di sostituire con la rateizzazione delle bollette.

Non ci vuole d'essere dei geni della lampada, in definitiva, per capire che la corsa agli armamenti che si va profilando è una cura palliativa per le nostre ansie collettive, sapientemente promossa da politici inadeguati e dalla lobby dei produttori di armi che hanno solo da guadagnarci.

Sarà tuttavia divertente vedere come queste armi verranno utilizzate per combattere il riscaldamento globale, la siccità e la monsonizzazione del clima. Perché per Putin è solo questione di tempo, dopo di che entrerà nei libri di storia come il penultimo negli autocrati dispotici che hanno fatto parecchi danni. Mentre le crisi ambientali sono destinate ad imperversare e a farsi beffe di carri armati, aerei e navi militari. Comprese le testate atomiche.



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