🧭🧭🧭 #tiromancino – Solo il cinismo ci salverà dall’ipocrisia della guerra
Forse sulla guerra in Ucraina meriterebbe essere cinici. Nel senso etimologico del termine: comportarsi in modo simile ai cani (κύων = cane) in seguito al dispregio che i cinici professavano per le istituzioni sociali e per le convenienze. Perché al di là del significato oggi associato a questo termine, la scuola filosofica fondata nel IV secolo avanti Cristo dal socratico Antistene di Atene si basava su presupposti etici che in questi frangenti tornerebbero utili.
Imparare dai veri cinici
Detto alla buona, i filosofi cinici tendevano all’autosufficienza dello spirito, all’ascesi che porta alla libertà assoluta dal bisogno, considerando degno di essere perseguito solo il sapere pratico che libera l’uomo dallo stato di necessità. In questa prospettiva filosofica coltivavano come pratiche virtuose l’autarchia (αὐτάρκεια) e l’apatia (ἀπάϑεια), rifiutando tutto ciò che comporta l’accrescimento dei bisogni. Quindi ogni cultura e civiltà, ogni istituto sociale - famiglia, patria e religione – o consuetudine, considerandoli convenzioni contrapposte alla natura. Un atteggiamento che portava i filosofi cinici a ostentare costumi naturali e animaleschi, con l’abitudine di parlare senza riguardi, con eccessiva libertà, che fu parallelamente scuola di dura sincerità morale.
Perché la tristissima vicenda della guerra portata dalle truppe russe in Ucraina, con i cruenti e dolorosi massacri di civili innocenti, dovrebbe spingerci tutti a essere più critici e soprattutto consapevoli. Senza cedere alla logica manichea del “con me o contro di me”.
L’equivoco coltivato dagli Zeloti dell’ortodossia
Il tema non è controbilanciare le responsabilità di Putin con quelle della Nato eterodiretta dagli Usa. Quel che hanno fatto Putin e la sua cricca è evidentemente inaccettabile, e richiedeva una reazione.
Inutile girarci intorno: l’impossibilità di un intervento diretto per non rischiare l’ecatombe nucleare, giustifica la fornitura di armi agli Ucraini. Giustifica la cosiddetta “guerra per procura”. Soprattutto perché l’unica alternativa era cedere supinamente alla logica della forza, legittimandola. Lasciando oltretutto gli Ucraini abbandonati a sé stessi, tradendone la pervicace volontà di resistere all'aggressione subita. Tutto questo è abbastanza ovvio.
Molto meno lo è il fatto che ogni argomentazione e tentativo di analisi che devii dall’onda mediatica prevalente, venga liquidato come vezzo dei “né né”, come “putinismo”, o come equilibrismo di comodo per non prendere una posizione.
Che dividersi su come fermare la carneficina in corso, piuttosto che sui motivi e sulle responsabilità per cui ci si è arrivati, equivalga a filosofeggiare impuniti di fronte all'avanzamento della storia che tutto travolge.
Ed è sinceramente sorprendente dover constatare che a cavalcare questa marea montante di perbenismo e ipocrisia pelosa, si ritrovino personaggi come Federico Rampini o Gianni Riotta. Che hanno tutt'altra caratura rispetto a note comparse di terzo o quart’ordine. Che popolano il circo Barnum dell'infotainment italiano, le cui abiette schiere sono tanto ben rappresentato dall'iconico Massimo Giletti.
Motivo per cui certe farsesche liste di proscrizione, risibili anatemi moralistici e caricaturali processi per putinismo a chiunque si azzardi a dissentire, per quanto siano manifestazione comiche di pochezza culturale, rischiano di sovvertire la natura della nostra democrazia e le regole che presiedono alla convivenza civile. Con utili idioti, questi sì, che atteggiandosi a fustigatori del dissenso, fanno il lavoro sporco per conto dei cultori del pensiero unico.
La droga dell’emotività
Usando la sfrontatezza tipica dei filosofi cinici, allora, la prima cosa da mettere alla berlina è l'esaltazione propagandistica dell'emotività. Quel mandare in onda a nastro, in loop, le immagini raccapriccianti delle esecuzioni di civili inermi seguite da interviste, spesso caricaturali, alle vittime scampate alla violenza. Soprattutto perché questo modo indecoroso di raccontare la brutalità della guerra viene piegato all'obiettivo propagandistico di giustificare l'escalation militare come unica soluzione in grado di anticipare il «redde rationem» finale. Con la menzognera pietà per le vittime che finisce per giustificarne il sacrificio.
Soprattutto perché questa rappresentazione esaltata della violenza finisce fatalmente per anestetizzare la nostra suscettibilità nei suoi confronti, rendendola così normale da farla sembrare inevitabile. Per cui l'insensatezza della distruzione di vite umane, infrastrutture, città, ricchezza, finisce, complice un’eterogenesi dei fini calcolata a tavolino, per sublimarsi nella quint’essenza della geopolitica contemporanea. Nella cornice della quale la politica di potenza è l'esito scontato, e non può che sostanziarsi nell'esercizio cieco della forza.
A questo proposito, gioverebbe riflettere sull'equivoco che si sta alimentando rispetto all'obiettivo sacrosanto di avere una politica di difesa europea comune. Cosa che ha molto poco a che vedere con la corsa ad acquistare nuove armi da parte dei singoli Stati dell'Unione. Perché ammassare cannoni, missili e carri armati, non ha nulla a che spartire con le politiche di sicurezza, ma molto coi bilanci di certe società per azioni.
La sublimazione della violenza armata, infatti, fra l'altro, ha nei confronti dell'opinione pubblica anche l’effetto distorcente di obnubilare la comprensione dei processi reali.
Non solo. Per quale motivo al mondo un profugo ucraino dovrebbe valere di più di uno siriano, curdo, afghano o africano? Perché, è del tutto evidente, la centrifuga di immagini che rappresentano la tragedia degli Ucraini ha anche l'obiettivo di sedimentare, più o meno inconsciamente, una gerarchia della dignità dello status di profugo. Per cui a un profugo europeo e bianco, sono concessi “privilegi” che non toccano ad altri. Come dimostra, vergognosamente, la distinzione che il recente decreto sull'accoglienza ha fatto fra profughi con il passaporto ucraino, e profughi con altri passaporti nazionali provenienti dall'Ucraina. Dove si trovavano per motivi di studio e di lavoro.
Il caleidoscopio di immagini cruente che ci viene ossessivamente ammannito, in questo senso, è un grande iniettore sociale di razzismo.
Conflitto di civiltà, o d’interesse?
Ci sarebbe poi da ragionare sui motivi profondi di un conflitto, rispetto al quale propaganda nazionalista - dall'una e dall'altra parte - rottura dell'equilibrio strategico militare, difesa dei valori occidentali e amenità varie, sono solo un gioco di specchi.
Considerazione che non ha nulla a che vedere con presunte farisaiche autoflagellazioni che una parte della società occidentale, segnatamente quella progressista, amerebbe infliggersi come strumentalmente sostengono i fautori dello scontro di civiltà. Un artificio dialettico sapientemente instillato, teso a sviare l'attenzione dai motivi reali, tutti economici, che stanno alla base di questo conflitto.
Ogni giorno che passa, infatti, è sempre più evidente che l'aggressione russa all'Ucraina risponde all'esigenza di Putin di tenere a distanza debita dai suoi confini quello che Ezio Mauro ha efficacemente definito il «contagio occidentale». Stili di vita, istituzioni sociali, diritti civili e divisione dei poteri, che a contatto con la società russa minaccerebbe di sgretolare dall'interno il sistema di potere e spartizione delle gigantesche risorse naturali della Russia, sul quale Putin e gli oligarchi hanno costruito le proprie fortune economiche personali.
Così come è lampante che l'intransigenza statunitense all'insegna della difesa dei valori della democrazia liberale, risponde nei fatti all'esigenza di allontanare l'Europa da qualunque tentativo autonomo di relazione con la Russia e i Paesi euroasiatici. In modo da poter concentrare i propri sforzi sul contrasto all’inarrestabile crescita di influenza economica nel mondo del gigante cinese.
L'esaltazione dell'eroismo dei resistenti ucraini, il bando del registro diplomatico nelle relazioni fra Stati, i peana al nazionalismo ucraino che non può cedere le province del Dombass, sono tutti mezzi utilizzati con un fine: esasperare lo scontro nella speranza che questo porti in breve tempo alla caduta di Puntin. Una “roulette russa” disinvolta, estranea a ogni preoccupazione per la sorte di chi la guerra la paga sulla propria pelle.
Quello in corso d’opera, infatti, è uno scontro fra le economie di mercato gestite da regimi democratici liberali e quelle (di para-mercato) dirette da regimi autocratici e dittatoriali.
Che Italia ed Europa stiano senza tentennamenti nel campo delle democrazie liberali è cosa scontata.
Molto meno dovrebbe esserlo il ruolo di subordinazione totale alle direttive americane, messo in evidenza proprio dalla gestione della crisi Ucraina. Rispetto alla quale l'Unione europea è stata al massimo un disciplinato esecutore di ordini impartiti via Nato.
Oltretutto, incapace perfino di concordare fra i propri membri l'imposizione di un tetto al prezzo del metano per far fronte alla crisi, con i Paesi del Nord Europa - Olanda e Norvegia in testa - preoccupati di capitalizzare al massimo l'aumento dei prezzi. Pronti a mandare in frantumi ogni accenno di politica comune, in nome dei propri egoistici interessi nazionali. Solo uno dei diversi esempi di incapacità a svolgere un ruolo autonomo sul proscenio mondiale; ignavia figlia proprio dei mefitici virus del nazionalismo e del sovranismo.
Nazionalismo e sovranismo che escono politicamente rinvigoriti da una condotta ciecamente intransigente - manichea - della guerra. Che li legittima come chiave di lettura del mondo e delle relazioni fra Stati.
È questione di metodo
Per concludere. La soluzione perfetta non esiste. E chiudere questo folle conflitto è molto più difficile oggi di quanto non lo fosse qualche giorno fa. Chiunque di noi può avere un punto di vista proprio, per quanto possa essere poco condivisibile o minoritario. D'altra parte, alle persone comuni, che non hanno la responsabilità di governo, non può esser fatto il torto di caricarle dell'onere della soluzione da trovare. Ma nemmeno possono essere messe in croce da un sistema monolitico che prova sistematicamente ad azzerare le differenze, bollando qualunque dissenso come putinismo, disfattismo e tradimento dei valori democratici. Il rischio è che si passi in un batter d'occhio dalla farsa alla tragedia.
Per questo, oggi più che mai, merita avere un atteggiamento “cinico”. Ne va della salute della nostra democrazia.
Ottima analisi della situazione. Forse una soluzione potrebbe essere la resa della Ucraina alla assemblea dell'ONU con il duplice inteto di avere la protezione mondiale e dare un senso a questa istituzione mangia soldi.
RispondiEliminaUna domanda locale ma abbiamo qui a Grosseto un piano di evacuazione vista la presenza dell'aeroporto militare? (Chissà quanti missili hanno le coordinate del Baccarini)