⛱⛱⛱ #tiromancino – Una “C” aspirata non fa primavera. Il turismo grossetano ha bisogno d’altro
(H)aldo, bici(h)letta, (h)ultura e (h)ucina. Sono le quattro parole chiave rappresentative dei contenuti turistici che Grosseto incarnerebbe, inglobate in altrettanti slogan che compongono la campagna di comunicazione promossa dal Comune capoluogo sui tram milanesi delle linee 2 e 19. Leitmotiv dell’operazione “simpatia”: «A Grosseto manca solo la C!». Con la “h” sostitutiva della “c”, chiaramente, a rappresentare l'iconica aspirazione toscana della consonante. Che contraddistingue la nostra pronuncia di molte parole che la contengono.
Una campagna che sui social ha scatenato un furibondo dibattito tra favorevoli e contrari, con dotte divagazioni linguistiche sulla collocazione corretta della c aspirata e di quella dura (cucina). Sul provincialismo dell'esaltazione dello stereotipo. Sulla rava e sulla fava. Dibattito divertente e un po’ ozioso che, a dire il vero, non ha colto nemmeno lontanamente il vero punto debole di questa operazione di marketing territoriale. Di cui merita parlare successivamente.
Puntare sui cliché paga
Quale che sia lo stile comunicativo che preferiamo, le campagne di promozione alla fine della fiera si valutano sul fatto che abbiano o meno raggiunto l'obiettivo di farsi notare. Da questo punto di vista, onestamente, c'è da aspettarsi che questo tipo di messaggio abbia avuto un suo impatto sui milanesi. Se non altro perché lo stereotipo del “maledetto toscano”, come ogni stereotipo che si rispetti, paga quasi sempre.
Il gioco di parole basato sull'allusione al fatto che nella nostra città manca solo la C, e che quindi c’è tutto il resto – per quanto questo sia lontano anni luce dalla realtà - è abbastanza efficace in termini evocativi. Perché è probabile che il milanese tipico, quindi il suo stereotipo, sia portato a sorriderne, magari pensando: «sempre i soliti in Toscana (guasconi e pieni di sé)». Cogliendo quindi l’obiettivo di suscitare qualche curiosità, e di far focalizzare al potenziale turista che in Toscana esiste anche Grosseto.
Certo, questo tipo di comunicazione non è né originale, nè innovativo. Ribadendo lo stereotipo della “hoca hola co la hannuccia horta” si limita a rafforzarne la resilienza nell'immaginario collettivo, che affibbia un cliché a ogni regione d’Italia. Ribadire un luogo comune, in quest’ottica, equivale a puntare sull’usato sicuro. Sulla mancanza di sorpresa rispetto a ciò che ti aspetti.
La qualcosa, in fin dei conti, potrebbe essere anche una scelta premiante. Dopo due anni di stravolgimenti sanitari, socioeconomici e di sofferenze psicologiche dovuti al Covid (cui sono seguiti due mesi d’ansia per la guerra), infatti, cosa c'è di più rassicurante di un cliché dato per scontato come la Toscana, “transustanziata” in questo caso in Grosseto? Un posticino ideale dove trascorrere la vacanza che t’aspetti (tagliola dei prezzi a parte).
Più di questo stereotipo rassicurante, c’erano solo i “tòpoi” iper-provinciali, compiaciutamente localisti, come il cinghiale, il tortello, il brigante Tiburzi o il Buttero! E per quanto, forse, quest'ultimo avrebbe contribuito a caratterizzare meglio la città di Grosseto, meno male che si è puntato sulla “C” aspirata…….
Sulla promozione turistica c'è una regressione culturale
Tuttavia, non è per questi motivi che bisogna crocifiggere la campagna di comunicazione turistica «A Grosseto manca solo la “C”!». Magari, per tutt'altro.
Segnatamente il riflesso condizionato per cui, in seguito al colpo di genio del ridimensionamento del ruolo delle province e dell'abolizione delle aziende di promozione turistica a scala provinciale, ogni Comune sta tornando a commettere l'errore di promuovere sé stesso, e non la destinazione Maremma. Un marchio di fabbrica decisamente molto più attraente in termini turistici e reputazionali di qualunque suo singola componente. Il fatto che nella campagna di comunicazione, sotto lo slogan principale che verte sulla “C”, ci sia più piccola la dicitura “Maremma Toscana” è un tentativo di salvarsi in calcio d'angolo.
Ci sono voluti anni di dura battaglia culturale per capire che in un mercato turistico iper-competitivo e affollato di destinazioni prestigiose, la nostra unica salvezza sarebbe stata promuovere il territorio sotto la denominazione Maremma, rinunciando alla rappresentazione autoreferenziale del proprio pezzettino di mondo. Poi, ci sono voluti altri anni per prendere atto che anche la destinazione Maremma scollegata dal brand Toscana, non era abbastanza forte per sfondare. Oggi il rischio più grave che corriamo, è quello di pensare che Grosseto possa diventare una destinazione attrattiva a sé stante. Ma vale per qualunque Comune.
Per fare un paragone calzante, basta ricordare la follia di chi pensava di valorizzare i prodotti tipici comunali con il marchio De.C.O. (denominazione comunale di origine), nel momento in cui in Italia e nel mondo si affermavano le certificazioni comunitarie a denominazione di origine: Doc, Dop e Igt. Una stagione tanto sciagurata quanto per fortuna breve, distintasi per il dilapidamento di risorse pubbliche e il fallimento di una strategia di marketing.
Il tentativo fatto dalla Regione Toscana di sopperire al funzionale e più rodato modello delle Agenzie di promozione turistica su base provinciale – vale ricordare il claim “Maremma, la natura in persona” - puntando sugli Ato (Ambiti turistici omogenei: che raggruppano i Comuni per aree con caratteristiche simili), sta cominciando a dare qualche risultato. Ma è di per sé stessa l'organizzazione frammentata della promozione dei diversi territori il vero punto debole del sistema, solo in parte compensato dall'azione di marketing dell’agenzia regionale Toscana promozione.
Non è per una fatalità, quindi, che molti Comuni stiano tornando a ragionare come singole entità, ognuno facendosi il proprio sito Internet, la propria brochure, la propria piccola ininfluente campagna di comunicazione. Regredendo al livello di cultura turistica degli anni ’80.
Peraltro, un conto sono Castiglione della Pescaia e Monte Argentario – che come destinazioni hanno anche una reputazione autonoma - un conto sono le altre realtà. Comune capoluogo compreso.
L'errore di prospettiva della committenza
Tornando a Grosseto. Fateci caso. Nella stessa campagna “A Grosseto manca solo la C!”, non ci sono immagini di Marina di Grosseto nè della città di Grosseto, ma gli stereotipi della Toscana: borghi medievali, buona cucina, il mare con sullo sfondo i monti dell'Uccellina (chi lo capirà?), le biciclette sul ponte dell'Ombrone (che potrebbe essere un ponte qualunque). Forse avrebbe meritato metterci un'immagine del Cassero senese, o delle Mura medicee. Se il problema era iniziare a creare un posizionamento turistico del capoluogo.
Alla fine, quindi, quest'operazione non darà grandi risultati in prospettiva di marketing territoriale, ma forse porterà qualche vantaggio a chi l'ha promossa, in termini di auto rappresentazione del dinamismo (fittizio) di questa realtà.
Un po’ lo stesso effetto effimero che ebbe la comparsata in Maremma dei “Ferragnez”, che in troppi glorificarono come potente booster per le presenze turistiche sul nostro territorio. Essendo solo funzionale alla gloria di chi la faceva.
Oltretutto, in chiave squisitamente turistica, quest'anno non c'era alcun bisogno di promuovere Grosseto sul mercato interno, perché già da due anni a questa parte, complice la pandemia, il turismo di prossimità ha salvato la pelle agli operatori dell’accoglienza. Differentemente dall’ecatombe di arrivi che hanno patito le città d'arte, infatti, le caratteristiche strutturali del turismo\ maremmano, sbilanciate in modo preponderante sull'offerta balneare, hanno fatto naturalmente da calamita per i turisti provenienti dal centro nord Italia.
Osare per innovare
Infine, qualche considerazione aggiuntiva sulla necessità di essere innovativi: nel registro espressivo e sui contenuti. Poiché, prima o dopo, si tornerà a viaggiare e a muoversi in libertà, in chiave di comunicazione turistica sarà bene inventarsi qualche innovazione mediatica e di prodotto turistico per attrarre flussi meno scontati. Dal momento che pensare che sole e mare bastino in futuro a garantire le stesse performance degli ultimi anni pre-pandemia, rischia di essere un azzardo. A meno che si voglia continuare a battere solo il ferro del turismo familiare e dei viaggiatori agée.
Qualcosa di buono è già stato fatto per connotare la Maremma come destinazione ideale per sportivi, amanti del wellness (terme) e del turismo avventura. Ma non si tratta certo di filiere rivoluzionarie sul versante dell'offerta. Molto c'è invece ancora da fare per rendere visibili e attrattive alcune buone idee, che oltretutto guardano a un turismo più qualificato e con maggiore capacità di spesa rispetto a quello balneare tradizionale. Come nel caso dei giardini d'arte contemporanea. Del turismo accessibile alle persone con disabilità. Dei percorsi dedicati a intellettuali e personaggi noti che hanno frequentato queste lande. Dell’escursionismo a terra per i croceristi che arrivano a Porto Santo Stefano. Del turismo Lgbtq+ friendly. Per buttare là qualche esempio.
I veri deficit non si superano con la comunicazione
Così come, è assodato, prima o poi bisognerà affrontare con risolutezza i macro temi del rapporto costi/qualità dei servizi, professionalità dell'accoglienza turistica, messa in rete delle strutture ricettive, programmazione degli eventi per evitarne la sovrapposizione. Gap strutturali per ovviare ai quali non basta una buona comunicazione.....
Concludendo. Nel più ci sta il meno: la campagna di comunicazione “A Grosseto manca solo la C” non cambierà la storia. Però può essere presa a pretesto per ragionare più in profondità sul da farsi.
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