🥩🥩🥩 #tiromancino – Carne "sintetica" (coltivata): vietato vietare!

 

La verità, vi prego, sulla carne “sintetica” (che tale non è)! Perché questa storia del divieto di consumare la ciccia coltivata in vitro (si dice così), assomiglia tanto a qualcosa di grottesco. Proprio come il tentativo del poeta inglese Wystan Hugh Auden di definire l’amore in 10 poesie, nella celebre raccolta “O tell me the truth about love !”. Scoprendo infine che è proprio nel ridicolo che risiede il linguaggio specifico dell’amore.

Archiviata la citazione letteraria – innocua parafrasi all’insegna del calembour – rimane l’approccio comunicativo surreale al tema della carne coltivata in laboratorio. Esplicitato, ad esempio, da una legge, appena approvata dal Senato, che vieta la produzione, l’acquisto e il consumo di carne coltivata. Che vieta perfino l'utilizzo della parola carne per le proteine di origine animale coltivate in laboratorio. Orgoglio del ministro alla sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida. Peccato in Europa non siano stati ancora autorizzati produzione, se non in via sperimentale, commercializzazione e consumo di questo tipo di prodotti. Raro esempio di preveggenza made in Italy.

 

Cibo “radioativo”

L’associazione di categoria degli agricoltori Coldiretti è la più zelante – ma in ottima e numerosa compagnia - in questa battaglia culturale di retroguardia che, tanto per cambiare, colloca il nostro periclitante Paese nel gruppo di coda fra quelli ad economia avanzata. Un po’ com'è avvenuto in passato con l’opposizione (di facciata) all'utilizzo degli Ogm, altro capolavoro di ipocrisia sul quale merita tornare successivamente. Tanto zelante la Coldiretti da associare il simbolo della radioattività ☢️ al termine bioreattore, che naturalmente non ha niente a che vedere con un reattore nucleare. Essendo costui un paciocco e non belligerante contenitore dotato di sensori, nel quale le cellule staminali vengono nutrite con zuccheri, enzimi e quel che serve per innescare la specializzazione e la crescita cellulare, arrivando così ad avere fibre muscolari con le quali comporre ad esempio un hamburger. Perché questo tipo di ciccia è ciccia vera, non una sintesi artificiale.

La battaglia per la ciccia “vera” contro quella “sintetica” (che sintetica non è), ovviamente, e come poteva essere altrimenti, è condotta in nome del cosiddetto sovranismo alimentare. Perché, non sia mai, buona come la carne italiana non ce n'è al mondo! Beninteso, promuovere e valorizzare le carni prodotte in Italia è obiettivo sacrosanto, tantopiù che il nostro sistema pubblico di controlli sui prodotti agroalimentari è fra i migliori al mondo. Così come il comparto zootecnico nazionale è uno dei più sostenibili e mediamente garantisce ai consumatori prodotti di ottima qualità.

Ma non è questo il punto. Il problema vero sta nella contrapposizione fittizia fra carne “buona” e carne ”cattiva”, basata su immaginari presupposti etici e parascientifici. Perché la verità, un po’ scomoda da ammettere, è che l’unico vero problema – se l’inchiesta che farà l’Efsa (agenzia europea per la sicurezza alimentare) avrà esito positivo – consiste nel fatto che il nuovo modello produttivo della carne coltivata minaccia di sottrarre fatturato a quello tradizionale della carne macellata, ricavata da animali allevati. Tutto qui, molto banalmente.











Est modus in rebus

Come spesso succede, però, l’ironia della sorte ci mette lo zampino. Perché proprio fra il 2022 e il 2023, sono stati realizzati il primo trapianto di un cuore di maiale modificato con cellule umane – obiettivo: trovare una soluzione alla scarsità di cuori umani da trapianto - e la prima produzione in vitro di pelle umana conformata all'arto dove è stata trapiantata; che non ha richiesto le suture tipiche dei precedenti trapianti. In entrambi i casi la sperimentazione, che è solo all'inizio, è stata realizzata da due centri universitari di livello mondiale. E, d'altra parte, già da una ventina d’anni le modifiche genetiche a Dna e Rna umani sono utilizzate in terapie di contrasto ai tumori o nella messa a punto dei vaccini.

Come sempre la politica si distingue per conservatorismo e balordaggine antiscientifica, tanto è vero che questa nuova patologica crociata può essere tranquillamente collocata nel filone di pensiero magico che abbiamo visto all'opera nel periodo del Covid, o rispetto alle tecnologie di comunicazione 5G. Solo per citare i precedenti “casus belli”.

Ecco perché bisogna tifare per persone raziocinanti come la senatrice a vita Elena Cattaneo, farmacologa e biologa di fama per le ricerche su staminali e malattia di Huntington, che insieme ad altri scienziati e ricercatori prova a combattere una battaglia di principio per la rimozione del divieto di sperimentare le tecnologie di coltivazione in vitro della carne. Che tanto somiglia a quelle che facevano gl’Illuministi nel corso del diciottesimo secolo per affermare il valore della scienza in opposizione a quello dei saperi magici, esoterici e tradizionali.

 

Grosseto caput “zootecniaae”

Sì, ma in fondo quanto può riguardare questo territorio, e quindi il #tiromancino, una questione così distante? Molto, in verità. Perché in provincia di Grosseto c’è oltre il 50% dell’intero patrimonio zootecnico della Toscana. Numeri non enormi come quelli del Nord Italia, ma significativi. Nel 2020 (ultimo dato di cui dispone il #tiromancino) circa 20.000 capi bovini allevati, e 10.500 macellati. Circa 170.000 ovicaprini, di cui 42mila macellati. Circa 13.000 suini allevati, di cui 2.500 macellati. Insomma, diciamo così, abbastanza probabile che in queste lande ci siano diverse persone che si sentono minacciate economicamente dalla carne coltivata in vitro. Che saranno in ottime compagnia, considerata la propensione diffusa a pensare questo territorio come un’enclave agreste e bucolica, archetipo putativo di un microcosmo dalla natura illibata (popolato di bovini in formissima).

Questo tipo di allevamenti, se l’Europa (matrigna?) desse il là alla carne coltivata in vitro – che potrebbe anche avere il non disprezzabile vantaggio di essere salubre in quanto a fibre grasse “programmabili” – rischiano così di essere decimati brutalmente, o quantomeno fortemente ridimensionati. E poiché si tratta di aziende anche di dimensioni ragguardevoli, comunque inserite in una filiera che sbocca in macelleria artigianali e banchi della grande distribuzione, forse sarà bene cominciare a immaginare per tempo come potrebbero essere riconvertite rimanendo fedeli alla loro matrice agricola.

Ad esempio, non fosse vietata la ricerca applicata in questo Paese, in centri di produzione di carne coltivata in laboratorio, a partire da cellule staminali ricavate da bovini “riproduttori”. Chissà? Oppure in altre tipologie di allevamento. Che vantaggi possono avere da un divieto di legge antiscientifico?

 

Il mondo corre, l'Italia dorme

Perché, per dire, come ha riportato l’agenzia Ansa lo scorso 15 luglio, a «fine del 2019 erano 191 i brevetti depositati nel mondo» (cit: Sergio Sala, Università di Pisa). Per lo più da Cina, Stati Uniti e Brasile, e riguardanti sia i cibi proteici coltivati (come carne, pollo e pesce) che le tecnologie per ottenerli, dal terreno di coltura alla stampa 3D.

Ad oggi, invece, sono quattro i Paesi che hanno dato via libera al consumo dei cibi coltivati (cit: Stefano Biressi, Università di Trento). Già dal 2020 Singapore, dove un ristorante e una macelleria vendono pollo coltivato; dal 2022 negli Stati Uniti, con il via libera della Food and Drug Administration (Fda) al consumo di crocchette di pollo coltivate, vendute attualmente a San Francisco e a Washington. Poi anche in Israele e nei Paesi Bassi. In tutto, a oggi, sono «180 le startup nel mondo impegnate della ricerca sui cibi coltivati e, di queste, soltanto una è attiva in Italia». Per dire: l’Olanda, notoriamente Paese a vocazione zootecnica e agricola, è uno di quelli più attivi in Europa nella ricerca per mettere a punto metodi di coltivazione delle proteine animali.

Il motivo è presto detto. Oggi il freno principale alla diffusione di questo alimento, oltre ai nulla osta sanitari in corso di valutazione, sono i costi di produzione. Che però sono anche in veloce evoluzione, tanto è vero che da qui al 2030 (7 anni) si stima che il giro d'affari mondiale varierà tra 5 e 25 miliardi di euro. Solo per iniziare. In Inghilterra, ad esempio, riporta sempre l'Ansa, è stato valutato questo business creerà tra 9.500 e 16.500 nuovi posti di lavoro.



 









Nessuna stregoneria

Per produrre carne in laboratorio i ricercatori sono partiti dalle tecniche di ingegneria tissutale già abbondantemente sperimentate. S’inizia estraendo cellule staminali dai muscoli di animali adulti viventi o cellule staminali pluripotenti da embrioni animali. Operazione possibile con qualunque specie, ma finora sperimentata con bovini, maiali, tacchini, polli, anatre e pesci.

Il mezzo di coltura ideale - all'interno dei bioreattori - fornisce nutrienti, ormoni e fattori di crescita, cioè proteine cruciali per stimolare la crescita e la proliferazione cellulare. Per ora il migliore veicolo colturale contiene siero fetale bovino, estratto dal sangue di feti bovini. Nel futuro prossimo si vedrà.

Quindi, ottenuta la concentrazione desiderata, le staminali si differenziano in cellule muscolari e iniziano a formare minuscole fibre dette “miotubi”. Le unità base delle fibre muscolari, che continuano a crescere in tessuto muscolo scheletrico. Et voilà: con circa 20mila di questi abbiamo un hamburger!

 

I vantaggi

Venissero autorizzati anche in Europa produzione e commercializzazione della carne coltivata in vitro, l’Italia diventerebbe un semplice mercato di consumo. Perché sulla ricerca è già stata tagliata fuori dalla lungimirante ottusità di chi ci governa, e di chi ne sostiene le posizioni oscurantiste.

Ad ogni modo, i vantaggi dell’iper-ciccia (chiamiamola così per sdrammatizzare) non sarebbero affatto trascurabili. Non verrebbero più macellati milioni di capi, evitando sofferenze (il che non è mai male). Diminuirebbe drasticamente la produzione di metano e CO(gas serra) associati agli allevamenti, ai quali viene attribuito circa il 18% dei gas climalteranti complessivamente prodotti nel mondo (agricoltura 36%); da valutare quanti gas serra scaturirebbero dai nuovi cicli produttivi. Non verrebbero usati antibiotici, come succede spesso negli allevamenti zootecnici tradizionali. La carne sarebbe più salubre perché potrebbero essere programmati i contenuti di grasso.

Ma non finisce qui: gli Italiani consumano in media 8,5 kg di carne all’anno, in costante diminuzione. Ma come Paese importiamo poco meno della metà di quella bovina che consumiamo (325mila tonnellate circa). Anche da Paesi dove i mangimi zootecnici sono a base di cereali e colture proteiche Ogm, che in Italia sarebbero in teoria vietati. Nel mondo, inoltre, la Fao, col suo Food outlook, valuta che entro il 2050 il consumo globale di carne crescerà del 58%. Per cui, in definitiva, produrre carne vera in laboratorio potrebbe ridurre drasticamente l’inquinamento e aiutare a combattere la fame nel mondo.

Insomma, certezze assolute ancora non ce ne sono, ma il treno è in marcia. Per cui la scelta più lungimirante è “vietato vietare”, soprattutto la ricerca scientifica. Tanto non servirà a niente.



Commenti

  1. Ottimo articolo: chiaro ed esplicativo. Mi piace questo tuo modo di fare giornalismo d'inchiesta.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari