🌊🌊🌊 #tiromancino/ Ottobre “balneare”. Ma per il turismo maremmano è débâcle. E il 2024?
Un ottobre balneabile, complice l'impazzimento del clima, non cambia i connotati della questione: il turismo maremmano è uscito con le ossa rotte dall'estate 2023. Che per tanti motivi, oramai chiari almeno agli addetti ai lavori, ha messo sotto i riflettori una crisi che era già in atto da tempo. Per cui, oltre le pie illusioni che alcuni si fanno rispetto ai benefici che porterebbe portare la relazione del Tavolo tecnico ministeriale sulle concessioni demaniali (a seguire), sarebbe lungimirante iniziare sin da subito metter testa su come affrontare il 2024. All'inizio del quale mancano poco più di tre mesi.
Sabato 21 ottobre, alla Sala Eden sul bastione “Garibaldi”, intanto, ci sarà un’occasione col convegno promosso dal portale di informazione locale MaremmaOggi – Maremma 2030, il futuro del turismo – per ascoltare un po’ di persone competenti in politiche di promozione e turismi. Una buona cosa, ma che arriva per iniziativa privata, mettendo ancora una volta in evidenza il ritardo con cui si muovono i livelli istituzionali. A partire dai Comuni che generalmente arrivano “dopo i fochi”, malgrado in teoria siano i protagonisti della governance degli Ambiti turistici ottimali, che dovrebbero occuparsi di accoglienza e informazione in ambito sovracomunale: uno dei deficit strutturali del turismo maremmano. Oltre a essere l'interfaccia dei territori con l'Agenzia regionale di promozione turistica (Toscana promozione) attraverso la cabina regionale di regia del turismo.
Ad ogni modo, il 21 ottobre vedremo. Intanto si può fare più di una considerazione su com’è andata la stagione. Ma soprattutto su quali siano le tendenze in atto, e su cosa sarebbe opportuno fare subito per essere pronti, almeno parzialmente, ad anticipare il 2024.
La crisi del segmento balneare
Ben oltre l'apparenza, con numeri che rimangono eclatanti nel certificare come in provincia di Grosseto rimanga fortissimo, quello entrato oramai in una crisi strutturale è proprio il segmento del turismo balneare. Che accusa più di altri le mutazioni genetiche intervenute nei comportamenti dei turisti.
Non solo le seconde case (balneari) non rappresentano più da anni l’opzione prioritaria dei turisti - con prezzi al limite della rapina a mano armata e mortificanti standard strutturali (assenza di condizionatori) e di qualità (suppellettili obsolete e di risulta) - ma nel frattempo le famiglie tradizionali si sono atomizzate, e i loro componenti hanno maturato nuove abitudini di viaggio. Anche perché, esclusa la parentesi del Covid che paradossalmente è stato un “toccasana” per l’arretrata offerta turistica maremmana, la facilità di spostarsi in giro per il mondo e l'abbondanza di mete turistiche balneari a prezzi più competitivi con servizi migliori – prima Mar Rosso, Slovena e Croazia, oggi Grecia, Albania e Bulgaria, per rimanere nel Mediterraneo - fanno inevitabilmente perdere appeal alla costa maremmana. Che rimane certamente un bel posto dove soggiornare per una vacanza, ma che sarebbe presuntuoso considerare unica nel suo genere e che, soprattutto, continua a essere troppo cara rispetto a qualità ed efficienza dei servizi turistici offerti.
Se a questo aggiungiamo il fatto che ogni anno che passa si accorcia il periodo medio di soggiorno. E che negli ultimi due anni la perdita di potere d’acquisto del ceto medio nazionale, nettamente prevalente nelle nostre spiagge rispetto agli stranieri, è decisamente andato a ramengo. Non è difficile capire perché il turismo balneare in Maremma sia in debito d'ossigeno.
Maremma a due velocità
C'è poi un aspetto che sta progressivamente uscendo allo scoperto, ancora non codificato. In Maremma, più che sull’Amiata, si stanno divaricando due tipologie alternative di offerta turistica. Quella di fascia medio alta, appannaggio di turisti ad alta capacità di spesa, e quella del turismo di massa caratterizzato da viaggiatori con a disposizione risorse inadeguate rispetto ai prezzi di questa zona: giovani e ceto medio impoverito dalla perdita di potere di acquisto. Che però rimangono la grande maggioranza dei turisti che qui arrivano da metà maggio a metà settembre, prevalentemente orientati alle destinazioni balneari.
Nella prima categoria di attività non rientrano solo le calamite del lusso e dell'extra lusso – Andana (Castiglione), Pellicano (Argentario), Resort Terme di Saturnia, La Sacra (Capalbio), o i nuovi The Sense (Follonica), La Roqqa (Porto Ercole) o Cala Beach (Punta Ala) – ma anche strutture di fascia alta presenti lungo tutta la costa e sulla prima fascia collinare, dai golf club ai residence turistici. Poi ci sono realtà che complessivamente, in quanto tali, fanno “repubblica” a sé stante, come Castiglione della Pescaia, che in virtù delle proprie caratteristiche e della lungimiranza di chi l’ha amministrata e di chi ci ha fatto impresa, non risentono eccessivamente delle difficoltà del comparto balneare. Oppure gli agriturismi top di gamma, i porti turistici che ospitano yacht e super-yacht.
Rispetto a queste isole felici, tutti gli altri, invece, viaggiano a una velocità molto più bassa e soffrono sul versante della domanda perché non riescono garantire servizi turistici adeguati a prezzi accessibili al loro tipo di clientela. Un problema che dipende da diverse concause - riconducibili sia a errori imprenditoriali che amministrativi - ma che ha come esito la crisi latente, anzi conclamata, dell’intero modello di offerta turistica.
Questo dualismo, incarnato dalle velocità di marcia divergenti dell'economia turistica, se non sarà affrontato per tempo minaccia di essere un elemento di ulteriore destabilizzazione del sistema turistico-ricettivo. Con due mercati del lavoro e dei servizi turistici che finirebbero per entrare in competizione l'uno con l'altro (evidente chi avrebbe la meglio), danneggiandosi, anziché integrarsi e viaggiare nella stessa direzione. Il rischio, per capirsi, è che si finisca per avere spiagge esclusive riservate ai Vip, enclave dorate con servizi extralusso, accanto ad arenili iperpopolari, caratterizzati da degrado estetico e servizi scadenti. Un mercato per lavoratori del turismo ben pagati, e uno per manodopera dequalificata e sottopagata. Insomma, un incubo.
Non è iniziata oggi
Nel maggio 2019 all’Hotel Airone di Grosseto si svolgeva l’ultima edizione di Jmo (join maremma online), appuntamento di riflessione sui destini turistici della Maremma promosso da Robi Veltroni, direttore del Roccamare Resort, e da Officina Turistica, think tank di settore. Già in quell’occasione Antonio Pezzano, analista e destination manager, dati statistici alla mano, spiegava che da più di dieci anni la Maremma del turismo non riusciva ad aumentare la propria quota di mercato nel segmento della domanda turistica balneare riguardante la Toscana. Nonostante il balneare fosse il suo elemento di forza, con ben oltre il 50% degli arrivi sul territorio. Un dato che veniva definito preoccupante già 4 anni fa. Tanto più che a fronte della stabilità delle presenze dei turisti italiani – dal 32 al 34,6% del turismo balneare toscano, a seconda degli anni – si era manifestata una flessione nel tempo degli stranieri. Passati dal 25 al 22% delle presenze balneari regionali, nonostante già fossero in quota minore rispetto ad altre aree della regione, e malgrado in termini aggregati in regione essi continuassero a privilegiare le destinazioni costiere rispetto alle città d’arte. Anche se di poco. Lo stesso Irpet (istituto regionale per la programmazione economica della Toscana), in quel periodo, metteva in evidenza come dal 2008 (anno della bolla immobiliare e del crack della Lehman Brothers) al 2017 le presenze turistiche in provincia di Grosseto fossero cresciute appena dello 0,9% a fronte di quasi il 15% di quelle della provincia di Livorno.
Tutto questo accadeva appena quattro anni fa, dopodiché c'è stata la parentesi della pandemia. Ma è chiaro che quel che rileva per la programmazione turistica è il trend di medio-lungo periodo. Ignorando il quale e concentrandosi sugli epifenomeni legati alle contingenze, si finisce per fare scelte fuorimisura che costeranno care. A maggior ragione in un mondo in cui muoversi è sempre più facile e con tempi ridotti, e dove le destinazioni si evolvono velocemente e altrettanto velocemente se ne aggiungono di nuove, con caratteristiche originali.
Il nodo stabilimenti balneari
C’era attesa, ma l’elefante ha partorito il topolino. E questo rischia di creare aspettative disattese.
Dopo quattro mesi di studio matto e disperatissimo, il famigerato “Tavolo tecnico ministeriale sulle concessioni demaniali” è arrivato alla conclusione che il 33% delle coste italiane è stato dato in concessione, e di conseguenza il 67% è “libero”. La qual cosa è stata subito utilizzata per sostenere che le attuali concessioni balneari per uso turistico-ricreativo non vanno messe a gara perché non rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva europea Bolkestein, in quanto le spiagge non sarebbero un “bene scarso”.
Considerato che a questa luminosa conclusione si è arrivati dopo quattro mesi di verifiche di quello che già si sapeva (bastava consultare la banca dati online “Siconbep” del Sistema informativo del demanio), la questione delle concessioni demaniali rimane in tutta la sua drammaticità. Nel senso che finché non sarà risolta, rimarrà bloccato un comparto determinante per l'offerta turistica balneare. Che secondo uno studio effettuato da Nomisma per Fiba Confesercenti – con 15.500 imprese che hanno un fatturato medio di 260mila euro - pesa qualcosa come 4 miliardi di fatturato, per 2,1 miliardi di valore aggiunto. Numeri significativi, per quanto con ogni probabilità sottostimati.
In definitiva rimane solo da chiarire cosa fare: perché è un po’ difficile legittimare un sistema di concessione dello sfruttamento dei beni pubblici basato sulla garanzia della rendita, assicurando la trasmissione delle concessioni nei decenni per linea familiare. Cosa onestamente un po’ medievale, che, insieme alle licenze dei taxi e di altre nicchie di rendita, mal si concilia con modernità e libertà di accesso a un mercato. Questo è il problema. In una provincia come la nostra con 207 concessioni demaniali turistico-ricettive, per 20-25mila ombrelloni, che fa parte della seconda regione italiana (dopo l'Emilia Romagna) per numero di concessioni balneari (850).
La disponibilità ipotetica (non realistica) del 67% delle coste italiane è fumo negli occhi. In economia la scarsità di un bene si misura su altri parametri, perché con ogni evidenza non si possono fare stabilimenti balneari ovunque, per tanti motivi diversi. E anche tenendo conto delle legittime richieste degli attuali concessionari, che ci sono e non vanno negate, va trovato alla svelta un modo di garantire il ricambio. Che in definitiva è garanzia di dinamismo economico e equità nella redistribuzione di una risorsa scarsa che genera ricchezza.
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